Non lanciate le arance!!!
Gli agrumi, simboli del sole e del calore mediterraneo sono originari del Medio Oriente e furono importati in Sicilia dagli arabi tra il IX e l’XI secolo d.C. Solo nel XVII secolo, tuttavia, si rinvengono le prime tracce della loro coltivazione ad opera dei gesuiti.
Oggi in Italia la produzione di arance, limoni, mandarini, clementine, bergamotti e chinotti si concentra principalmente nelle regioni meridionali, conla Sicilia in testa.
Gli alberi si distinguono per i fiori bianchi profumati e per i frutti dal colore acceso. Questi ultimi hanno un sapore aspro ma al contempo dolce e sono caratterizzati da una forma rotondeggiante.
Ed è proprio questa forma che li rende anche protagonisti dello Storico Carnevale di Ivrea, in occasione del quale è stravagante e “pacifica” tradizione colpire con le arance chi sfila sui carri dando luogo ad un vero e proprio scontro.
Tra gli agrumi che imbandiscono le nostre tavole, in particolare, l’arancio vanta il primato di essere quello più diffuso. Vi sono arance a polpa bionda e a polpa rossa. Il colore di queste ultime è dovuto alla presenza, al loro interno, di pigmenti antocianici. Nei mercati ortofrutticoli sono reperibili quasi tutto l’anno, ma soprattutto nella stagione invernale se ne apprezzano maggiormente i benefici essendo tutte comunque ricche di vitamina C, utile al nostro organismo per rinforzare le difese immunitarie.
In un uomo adulto, la dose giornaliera abitualmente raccomandata di questa vitamina si aggira intorno ai 60 milligrammi. Ma quante arance dobbiamo mangiare per assumerne ogni giorno la giusta quantità? La risposta è semplice. Considerando che un etto di arance contiene circa 40-50 mg di vitamina C, basterebbe mangiarne tutti i giorni circa120 grammi(corrispondenti ad un frutto di medie dimensioni).
Ma le proprietà delle arance non finiscono qui:
Contengono anche alcune vitamine del gruppo B tra cuila B3, o niacina, importante perché partecipa al metabolismo dei nutrienti e la B9, ossia l’acido folico, essenziale per lo sviluppo e il buon funzionamento del sistema nervoso e del midollo osseo. Da non trascurare anche la presenza di sali minerali quali il calcio, indispensabile per la formazione e la buona salute di ossa e denti, il fosforo, che stimola l’attività cerebrale ed il magnesio, che contribuisce a mantenere l’equilibrio del sistema nervoso.
A proteggere esternamente l’arancia e le sue proprietà vi è la scorza, volgarmente detta buccia, ricca di pigmenti e di oli essenziali molto profumati. Caratterizzata da una leggera ruvidezza, è diventata termine di paragone anche in campi assolutamente diversi da quello alimentare: si parla ad esempio di pelle a “buccia d’arancia” in dermatologia o di superfici a “buccia d’arancia” in edilizia.
Nonostante queste similitudini, l’arancio è un frutto prezioso, gradevole al gusto e ricco di sostanze nutrienti utili. Per tutti questi motivi, nei mesi invernali, perché non aggiungere alla nostra colazione una dissetante e nutriente spremuta d’arancia contro i malanni di stagione? E se le arance non vi piacciono, non vi preoccupate, potete sempre utilizzarle partecipando alla tradizionale “Battaglia delle Arance” di Ivrea.
La Carota o Daucus carota L.
La carota (Daucus carota L.) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Umbelliferae. Originaria delle regioni temperate dell’Europa, dove tuttora cresce spontanea, giunse in Italia nel 1700.
Da allora, viene coltivata per la bontà delle sue radici carnose impiegate sia nell’alimentazione umana che in quella animale.
Le carote si distinguono in base al colore (che, ad eccezione del bianco delle varietà da foraggio, varia dal rosso all’arancio), alla forma (vi sono le corte, le mezzane e le lunghe) e all’epoca di maturazione (che le differenzia in precoci, medie e tardive).
Tra le carote più diffuse vi sono la Carota Flakke, la Carota Grelot, la Carota rossa d’Olanda, la Carota tonda di Parigi, la mezza lunga di Nantes ed, infine, la Carota rossa di Napoli.
Apprezzata già all’epoca dei Greci e dei Romani per le sue proprietà nutritive, la carota è un vero e proprio elisir di salute e di bellezza.
Per la presenza di caroteni, sostanze utilizzate dal nostro organismo per la produzione di vitamina A, la carota è da sempre considerata l’ortaggio d’elezione per la vista. Il beta-carotene, in particolare, contribuisce alla riparazione dei tessuti corporei, all’idratazione e al benessere della pelle, a proteggere le mucose della cavità orale e delle vie aeree ed, infine, a contrastare l’azione dei radicali liberi e a prevenire l’invecchiamento cellulare.
Sono inoltre presenti le vitamine B1, B2 e B3, fondamentali per la crescita di tutti i tessuti, e la vitamina C, essenziale per l’utilizzazione del ferro e per la sintesi del collagene.
Rilevante anche il contenuto di Potassio, che mantiene l’equilibrio idrico del corpo, di Calcio e di Fosforo, di supporto per le ossa e per i denti, di Ferro, indispensabile per la produzione di emoglobina (sostanza che trasporta l’ossigeno a tutte le cellule dell’organismo) e di fibre, che aiutano a regolarizzare il transito intestinale.
Da sottolineare, infine, le poche calorie ed il pressoché nullo contenuto di grassi che le rendono idonee per tutti coloro che intendono seguire un regime alimentare controllato.
Per ultima una curiosità. I piccoli e bianchi fiori della carota sono raggruppati in “ombrelle” al centro delle quali è posto un fiore viola che contraddistingue questa pianta da tutte le altre Umbelliferae. Un’antica leggenda narra che questi scenografici ombrellini, se raccolti in una notte di luna piena, vantino spiccate proprietà afrodisiache tali da accendere il desiderio sessuale ed aiutare il concepimento.
La Nespola, il frutto dell’imbarazzo
Con il termine Nespola, si identificano i frutti di due diverse specie di piante appartenenti entrambe alla famiglia delle Rosaceae: la nespola comune e la nespola del Giappone.
Il motivo per cui condividono lo stesso nome è abbastanza oscuro, dal momento che sia le piante che i frutti prodotti sono estremamente differenti fra loro. Ma cerchiamo di analizzarli nel dettaglio.
Il nespolo comune, Mespilus germanica, è un albero di medie dimensioni coltivato in tutti i paesi a clima continentale. Al momento della fioritura produce moltissimi fiori bianchi che lo rendono estremamente gradevole da un punto di vista ornamentale.
I frutti, tondeggianti e di colore marrone chiaro, maturano a settembre e sono spesso ricoperti da una finissima peluria. Estremamente duri e legnosi hanno un sapore acido ed astringente che non li rende commestibili al momento della raccolta. Prima di essere consumati, infatti, devono per lungo tempo maturare all’interno di cassette di legno ricoperte di paglia che, a loro volta, devono essere poste in ambiente asciutto e ventilato. Mediante questa tecnica di “ammezzimento” le nespole si ammorbidiscono e virano di colore fino a raggiungere una tonalità molto scura. La polpa, inoltre, subisce una modificazione enzimatica che la rende più dolce ed aromatica. Ed è proprio la necessità di dover attendere qualche mese prima di poterle mangiare ad ispirare il prezioso detto: “Con il tempo e con la paglia maturano anche le nespole” che ci suggerisce l’importanza di avere pazienza e di saper aspettare per vedere i risultati.
Le prime coltivazioni del nespolo comune sono state rinvenute lungo le rive del Mar Caspio e risalgono al I millennio a.C. Estesosi poi in tutta l’Asia Minore, il nespolo raggiunse ben presto le coste della Grecia e dell’Italia. Da qui, grazie ai Romani si diffuse a tal punto in Europa, ed in particolar modo in Germania, che il medico e naturalista svedese Linneo (padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi) lo identificò proprio con il nome Mespilus germanica, ritenendolo, erroneamente, di origine tedesca.
Da un punto di vista nutrizionale bisogna innanzitutto sottolineare che tanto più il frutto è acerbo, tanto maggiore è la presenza di tannini, molecole dall’azione antinfiammatoria che, per la capacità di precipitare le proteine della saliva, donano alla nespola il suo caratteristico sapore astringente. Grazie alla maturazione, i tannini diminuiscono ed il frutto, più dolce e pastoso per la presenza di zuccheri, ha un’azione blandamente lassativa grazie anche ad una discreta quantità di fibre vegetali. Sono, inoltre presenti elettroliti, sali minerali quali Potassio (che regola il ricambio idrico del corpo e impedisce la disidratazione delle cellule), Magnesio (fondamentale per la contrazione muscolare), Fosforo e Calcio (necessari per la salute delle ossa e dei denti). Da non trascurare anche il contenuto in vitamine tra cui la Vitamina C(importante per rinforzare le difese immunitarie e per l’assorbimento del Ferro) ed alcune del gruppo B, in particolare la vitamina B3 (che partecipa al metabolismo dei nutrienti favorendo la trasformazione dei grassi e dei carboidrati in energia).
Simile da un punto di vista nutrizionale ma di aspetto estremamente diverso è il nespolo del Giappone (Eriobotrya japonica), genere maggiormente conosciuto e commercializzato nel nostro paese. Originario dell’estremo Oriente, dove è molto diffuso sia come albero da frutto che come pianta ornamentale, è giunto in Europa solo alla fine del 1700 e da qui si rapidamente diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo.
In Italia fu introdotto a scopo puramente decorativo nel 1812 nell’orto botanico di Napoli e, solo in seguito, si affermò anche per la produzione di frutti. L’habitat ideale di questa piccola pianta dalla chioma tondeggiante è rappresentato dalle regioni meridionali; la maggiore produzione, infatti, si registra in Sicilia ed, in particolare, nelle province di Palermo, Catania e Siracusa.
I frutti maturano in primavera e la raccolta si effettua quando assumono la piena e tipica colorazione arancione. Immediatamente commestibili, hanno forma tondeggiante e una sottile e liscia buccia esterna. La polpa è dolce e acidula al tempo stesso e racchiude al suo interno dei grossi semi legnosi avvolti da una membrana. Proprio per la loro presenza la parte edibile del frutto è appena del 66%. La ricchezza in acqua e le poche calorie, infine, rendono il nespolo del Giappone adatto anche a coloro che intendono seguire un regime alimentare ipocalorico.
Terminiamo, come sempre, con una curiosità: secondo antiche tradizioni orientali, questi piccoli ma deliziosi frutti provocano uno stato di “imbarazzo” in coloro che li assaggiano. Per la loro squisitezza, infatti, si è incerti se gustarli freschi appena raccolti o preparare, con la polpa, macedonie, marmellate o aromatici distillati.
Cachi: l’albero delle virtù
Il cachi (Diospyros kaki L.), comunemente noto come caco o kaki, è un albero da frutto dalla tradizione millenaria e appartenente alla famiglia delle Ebenaceae.
Originario delle regioni centro meridionali della Cina, dove viene coltivato da più di duemila anni e dove viene definito “l’Albero delle sette virtù”, circa un millennio più tardi si diffuse nel vicino Giappone dove iniziò ad essere coltivato in modo intensivo. Alla fine del XVIII secolo giunse in Europa dove venne inizialmente utilizzato solo per scopi ornamentali.
La chioma del caco è particolarmente folta e da qui tre delle sette virtù: l’ombra in primavera, la bellezza delle foglie giallo-rosse in autunno e la successiva ricchezza in sostanza concimanti per il terreno in inverno. A queste si aggiungono la longevità della pianta, l’alta qualità del legno, l’assenza di tarli e, infine, la mancanza di nidi tra i rami.
Ma lo splendore di questo albero che ha fatto sì che fin dal passato venisse piantato per uso decorativo si manifesta quando, completamente spoglio di foglie, rimane carico di frutti giallo-oro fino all’autunno inoltrato.
In Italia le regioni in cui si coltiva maggiormente sono l’Emilia Romagna (con la varietà “Loto di Romagna”), la Campania(per il “Vaniglia della Campania”, noto anche come “caco-vaniglia” o “caco-mela”) e la Sicilia(con il “Caco di Misilmeri”, famoso ed esportato in tutto il mondo).
I frutti sono delle grosse bacche dalla forma quasi sferica, dalla buccia liscia e sottile e dal colore arancione. La polpa all’interno è generalmente molto tenera ad eccezione della varietà cachi vaniglia la cui consistenza è più soda e compatta.
In genere, questi frutti tipicamente autunnali vengono raccolti ancora acerbi e fatti maturare in un luogo fresco e asciutto all’interno di cassette di legno ricoperte di paglia. Mediante questa tecnica definita di “ammezzimento” la polpa assume una consistenza più morbida e contemporaneamente si riduce il caratteristico effetto astringente causato dall’elevato contenuto in tannini e aumenta il contenuto in zuccheri. Una caratteristica dei cachi, infatti, è il loro dolce sapore. Ed è proprio per l’elevata bontà dei frutti che in passato venivano definiti cibo degli Dei.
Il nome scientifico del cachi, infatti, è “Diospyros” che letteralmente significa “frumento di Giove”.
Ma anche ai giorni nostri i cachi continuano ad essere estremamente apprezzati. Dal punto di vista nutrizionale, infatti, i cachi sono dei veri e propri concentrati di energia. Considerando che100 grammidi parte edibile contengono circa 70 Kcal e che un caco di medie dimensioni pesa 250-300 grammi, facendo un rapido calcolo si evince che ogni frutto apporta circa 180-210 kcal. Non poche!
Se quindi da un lato, grazie al loro potere ricostituente, sono frutti raccomandati durante la crescita e in caso di debolezza eccessiva, dall’altro sono sconsigliati se si vuole intraprendere un regime dietetico ipocalorico.
Accanto all’elevato quantitativo di zuccheri e di acqua, sono presenti fibre (utili per il transito intestinale) ed alcune vitamine tra cui la Vitamina A(che favorisce la riproduzione cellulare e la visione notturna),la Vitamina B1 (o Tiamina, indispensabili per il buon funzionamento dell’intero sistema nervoso),la Vitamina B2 (o Riboflavina, essenziale per la crescita),la Vitamina B3 (o Niacina, che partecipa al metabolismo dei nutrienti favorendo, in particolare, la trasformazione dei grassi e dei carboidrati in energia) e la Vitamina C(importante per rinforzare le difese immunitarie e per l’assorbimento del Ferro). Per quanto riguarda i sali minerali e gli elettroliti i cachi contengono Potassio (che regola il ricambio idrico del corpo), Fosforo (essenziale per le ossa e per i denti), Calcio (di supporto al sistema scheletrico) e Ferro (componente dell’emoglobina, la proteina che trasporta l’ossigeno nel sangue).
Infine una curiosità. L’albero del cachi è considerato “l’albero della pace” perché al devastante bombardamento atomico di Nagasaki, avvenuto nell’agosto del 1945, non sopravvisse nulla ad eccezione di alcuni esemplari di questo albero.
Albicocca: frutto della bellezza
L’albicocca (Prunus armeniaca) è il frutto di una pianta antichissima che vanta più di 4000 anni di storia. Originaria della Cina nordorientale, si diffuse lentamente verso occidente attraverso le regioni centrali dell’Asia fino ad arrivare in Armenia (da cui prese il nome).
La sua scoperta si deve ad Alessandro Magno durante una delle sue innumerevoli spedizioni. Qualche secolo più tardi, circa nel 70-60 a.C., i Romani la introdussero in Italia ed in Grecia, anche se si deve agli arabi la sua vera diffusione nel bacino del Mediterraneo.
Questa saporita drupa dalla forma sferica è protetta da una sottile buccia vellutata di colore giallo-arancio. La polpa, lievemente acidula, è succosa e racchiude al suo interno un nocciolo legnoso che protegge il seme. Quest’ultimo è chiamato “armellina” e viene utilizzato in molte preparazioni dolciarie come essenza o come ingrediente per la realizzazione di amaretti, di sciroppi e di liquori. Al pari delle foglie e dei fiori dell’albicocco, anche il seme contiene un derivato dell’acido cianidrico che, ad alte dosi, risulta tossico per l’organismo. Se ne raccomanda, pertanto, un uso moderato.
Al momento dell’acquisto si devono scegliere frutti maturi ma al contempo sodi, con buccia liscia e senza ammaccature. Il colore deve essere vivo, intenso e privo di macchie scure. Una volta in frigorifero vanno consumati entro pochi giorni poiché sono facilmente deperibili. Proprio per la loro fragilità le albicocche vengono spesso essiccate e sciroppate. Altrettanto comuni sono i prodotti derivati tra i quali il succo, la marmellata e la gelatina, molto usata in pasticceria per spennellare torte e pasticcini.
Le varietà più diffuse e coltivate in Italia sono la Monaco, la Baracca, la Reale d’Imola, la Cafona, la Precoce Cremonini e la Boccuccia. Prediligono tutte climi caldi ed asciutti e vengono raccolte dai primi di maggio a metà luglio.
Da un punto di vista nutrizionale l’albicocca è un frutto altamente digeribile, ipocalorico, ricco di fibra solubile e con un indice di sazietà piuttosto elevato. Contiene notevoli quantità di potassio, fosforo, calcio, vitamina C e vitamine del gruppo B (importanti alleate contro l’astenia e la spossatezza). E’ il frutto che contiene le dosi più elevate di beta-carotene, sostanza estremamente importante in quanto utilizzata dall’organismo per la produzione di vitamina A, fondamentale per la vista, per la crescita delle ossa e dei denti nei bambini, per rinforzare il sistema immunitario e per proteggere dalle infezioni la pelle ed il rivestimento mucoso di gola, polmoni, stomaco e vie urinarie.
Rinforza, inoltre, le unghie e migliora l’aspetto di pelle e capelli tanto che, nella tradizione popolare, l’albicocca è stata sempre considerata il frutto della bellezza ed associata alla cura del corpo. La cosmesi naturale, infatti, offre numerosi consigli a riguardo. L’olio di albicocca ottenuto dal suo seme, ad esempio, è molto efficace per il trattamento delle smagliature e delle rughe, il succo del suo frutto è un ottimo tonico per il viso e la sua morbida polpa, infine, costituisce una preziosa maschera idratante.
Come rinunciare, dunque, a questo buonissimo frutto ricco di qualità?