Topinambur
Come sempre accade in questo periodo, ci avviciniamo alla notte di San Silvestro carichi di buoni propositi per l’anno nuovo. Accanto all’amore, all’amicizia e alla realizzazione sul lavoro un aspetto sicuramente di primaria importanza per tutti noi è quello di mantenersi in forma e, soprattutto, in salute.
Ed allora via alle diete dimagranti e disintossicanti per correre ai ripari dopo le abbuffate natalizie. Ma perché aspettare il nuovo anno e non cominciare fin d’ora ad alimentarci con cibi sani e nutrienti?
A tale proposito, se già da qualche settimana girando per il reparto frutta e verdura del supermercato vi siete imbattuti in strani cartelli con la scritta “topinambur” non tirate dritto. Fermatevi e compratene uno. Il topinambur (Helianthus tuberosus), infatti, altro non è che un tubero di stagione, noto anche come patata americana, patata del Canada o tartufo di canna. Originario delle praterie occidentali del Nord America, dove i Nativi lo consumavano per le sue preziose proprietà nutrizionali, si è diffuso in Europa in seguito alla scoperta del Nuovo Mondo ad opera di Cristoforo Colombo.
In Italia lo si ritrova principalmente al Nord dove, oltre a crescere spontaneo, viene coltivato a scopo ornamentale ed alimentare. Altamente nutriente, può essere considerato un vero e proprio integratore per il benessere del nostro organismo. Accanto all’elevato contenuto di acqua (80%) e alle scarse calorie, è costituito da glucidi (15-20%), protidi (2%) e da vitamine quali la A, indispensabile per il meccanismo della visione notturna e per la riproduzione cellulare ed alcune del gruppo B, indicate negli stati di debilitazione generale. Sono, inoltre, presenti minerali come il Ferro, il Potassio, il Magnesio ed il Fosforo ed alcuni amminoacidi tra cui l’Asparagina, necessaria al metabolismo dell’alcool e l’Arginina, fondamentale per il mantenimento dell’omeostasi, ossia della stabilità interna del nostro organismo.
Ma l’aspetto sicuramente più rilevante è la presenza di Inulina, un polisaccaride dalle interessanti proprietà. La sua assunzione favorisce, infatti, il riequilibrio della flora batterica intestinale stimolando, da un lato, l’aumento di Bifidobatteri e di Lattobacilli, importanti per una corretta digestione e per la salute del colon, dall’altro la contemporanea e massiccia diminuzione del numero dei batteri ritenuti nocivi. Essendo, inoltre, costituita dalla condensazione di molecole di fruttosio, zucchero dall’elevato potere dolcificante che vanta la proprietà di essere assorbito dall’organismo senza pesare sull’attività del pancreas, l’inulina risulta essere una fondamentale riserva di carboidrati indipendentemente dalla secrezione di insulina da parte dell’organismo. Questo aspetto rende il topinambur indicato anche a colore che metabolizzano ed utilizzano male il glucosio. L’Inulina, infine, se utilizzata come fibra alimentare, favorisce la peristalsi intestinale.
Esistono due diverse varietà di topinambur: quella bordeaux, maggiormente diffusa e presente sul mercato da ottobre ad aprile circa e quella bianca precoce, reperibile già da fine agosto. Entrambe possono essere consumate sia cotte che crude ed hanno un sapore molto simile a quello del carciofo.
Quindi per fare un riassunto il topinambur può essere utilizzato per riequilibrare la flora batterica intestinale e per la stitichezza, per la cattiva digestione e per il controllo dello zucchero ematico.
Vi pare poco?
Il cavolfiore: proprietà benefiche
In autunno e in inverno gli orti delle nostre regioni si arricchiscono di un ortaggio dall’aspetto tondeggiante e dal sapore marcato, il cavolfiore (Brassica oleracea var. botrytis). Introdotto in Italia ad opera dei veneziani, che lo acquistarono dai greci sull’isola di Cipro, il cavolfiore è per lo più coltivato in Toscana, nelle Marche, nel Lazio, in Campania ed in Sicilia.
Se ne conoscono diverse varietà: la qualità Palla di Neve di colore bianco candido, il Precoce Toscano, quello di Jesi, il Tardivo di Fano ed il Gigante di Napoli di colore bianco crema, il verde cavolfiore di Macerata, ed il Violetto di Sicilia.
Il fiore presenta, comunque, una testa compatta, formata da tante “cimette” attaccate l’una all’altra ed innestate su un piccolo stelo centrale. Per pulirlo è sufficiente staccare le foglie esterne, tagliare le cimette dal torsolo e sciacquarle sotto l’acqua corrente.
Il cavolfiore, in genere, viene servito cotto. Durante la cottura, per la presenza al suo interno di composti a base di zolfo, sprigiona un odore piuttosto forte. Per contenerlo sarà sufficiente aggiungere all’acqua in ebollizione una goccia di aceto o di limone. Se particolarmente tenero e fresco si può, tuttavia, consumare anche crudo.
In questo modo non solo risulta più digeribile e salutare, ma, soprattutto, conserva inalterate le sue proprietà nutritizie. Grazie, infatti, al perfetto equilibrio dei suoi componenti, il cavolo esercita un’azione benefica su tutto l’organismo. E’ ricco di minerali come il Fosforo e il Calcio che contribuiscono alla salute di ossa e denti, di Magnesio per il buon funzionamento delle cellule e di Ferro per combattere l’anemia.
Da non trascurare anche la presenza di Potassio, che regola il ricambio idrico del corpo e impedisce la disidratazione cellulare, di fibre vegetali e di alcune vitamine tra cui la C, che protegge le cellule e previene i danni provocati dai radicali liberi e la B9, indispensabile per il sistema nervoso ed il midollo osseo.
Per queste proprietà il cavolo è, fin dall’antichità, conosciuto ed utilizzato come rimedio per curare diverse malattie. I Romani, in particolare, prima dei lauti banchetti, erano soliti mangiare cavoli crudi per aiutare l’organismo ad assorbire e metabolizzare con maggior facilità il vino che, probabilmente, avrebbero bevuto in abbondanza. Per le popolazioni marittime, inoltre, i cavoli hanno da sempre rappresentato uno degli alimenti principali, costituendo un’ottima fonte di sostentamento durante i lunghi viaggi in mare.
Forse per la sua forma compatta che evoca protezione o per il candido colore simile alla bambagia il cavolfiore ha, per anni, tolto dall’imbarazzo i genitori alla domanda dei figli su come nascono i bambini. E non solo. Il cavolo è forse uno degli ortaggi a vantare il maggior numero di modi di dire. Sono ormai di uso comune frasi del tipo “non me ne importa un cavolo”, “testa di cavolo”, “non capisci un cavolo”, “pensa ai cavoli tuoi”, “c’entra come i cavoli a merenda”, “col cavolo” oppure, semplicemente, “cavolo!”.
SOS CENONI E PRANZI DI NATALE
MANGIARE O NON MANGIARE? QUESTO è IL DILEMMA!
Durante le feste natalizie la domanda che i pazienti mi rivolgono più spesso è: come mi devo comportare?
Il timore di tutti coloro che si impegnano durante l’anno per mantenere una corretta alimentazione al fine di raggiungere il proprio obiettivo è quello di prendere qualche chiletto e di veder sfumare, tra il 24 e la Befana, i progressi raggiunti.
Qual è, dunque, la strategia migliore da mettere in atto durante le festività? Come destreggiarsi al meglio tra Vigilia, Natale e Capodanno?
La risposta che io dò sempre è semplice: bisogna cercare di compensare.
Il bello delle feste è anche quello di rilassarsi, godersi la compagnia della famiglia e degli amici senza pensare a quello che si può o non si può mangiare.
Non è necessario dribblare tutti i panettoni e i cenoni. Basta semplicemente regolarsi di conseguenza.
Per cui se a Natale ci sono i tortellini, l’arrosto, il purè e il pandoro li possiamo gustare senza troppi sensi di colpa, cercando, magari, di non fare il bis e di non riempire il piatto fino all’orlo. Se poi siamo noi a cucinare possiamo ridurre i condimenti necessari alla preparazione dei piatti. Per compensare un pranzo così sostanzioso un suggerimento utile per la cena potrebbe essere quello di mangiare un passato di verdure senza patate o di bere una tisana.
Stessa strategia per la sera della Vigilia. Anche se a Bologna il menu è spesso dall’antipasto al secondo tutto a base di pesce, per cui idealmente più leggero, si può pensare di bilanciare la giornata gustando a pranzo una bella insalatona con l’aggiunta, a scelta, di un ingrediente proteico vegetale o animale o di una fetta di pane di segale integrale.
E per quanto riguarda gli avanzi?
Se siamo noi ad aver cucinato e se, ad esempio, il dolce è stato di gradimento, si può pensare di omaggiare i commensali con un piccolo cadeau da portare a casa. Con questo astuto escamotage si evita di cedere alla tentazione di dover finire, nei giorni successivi, la crostata alla mostarda o quel mascarpone che dice “mangiami” ogni volta che si apre il frigo!
Da non dimenticare, infine, l’esercizio fisico che va visto come un alleato per sentirsi meno appesantiti e per prendere, se il tempo lo consente, una boccata d’ aria fresca durante una passeggiata di salute.
Il Pompelmo o Citrus Paradisi
Il pompelmo (Citrus paradisi) è il frutto dell’omonimo albero sempreverde appartenente alla famiglia delle Rutaceae.
Originato, anticamente, dall’ unione del pomelo con l’arancio dolce, è uno degli agrumi più dissetanti.
Di grosse dimensioni, ogni singolo frutto può pesare in media fra i 200 e i 500 grammi e avere un diametro di dodici-quindici centimetri, presenta forma sferica leggermente schiacciata ai poli.
La buccia esterna, liscia o lievemente grinzosa, è ricca di oli essenziali ed è rivestita internamente da una spessa pellicola bianca denominata “albedo” che protegge la succosa e tenere polpa, caratterizzata da un sapore aspro ed amarognolo.
Nonostante il frutto raggiunga la maturazione a fine ottobre, quando il colore della buccia è ancora piuttosto verde, può essere colto dall’albero anche fino alla fine del maggio successivo quando il colore esterno diventa dorato e la polpa interna più dolce. In base al periodo di maturazione, infatti, i pompelmi si distinguono in precoci, di mezza stagione e tardivi. Altre classificazioni vengono fatte in base alla presenza o meno di semi al loro interno ed al colore della polpa.
Accanto al più noto pompelmo a polpa gialla, infatti, negli ultimi anni sta sempre assumendo maggiore importanza il pompelmo rosa, ottenuto incrociando il giallo con l’arancia rossa della varietà Moro. Questo recente ibrido dalla polpa pigmentata, ha buccia più sottile e gusto un po’ meno amaro grazie ad un maggior quantitativo di fruttosio al suo interno.
Di origini incerte, secondo alcuni storici il pompelmo proviene dall’America Centrale, e precisamente dalle isole Barbados, secondo altri dall’Asia, al pari dei suoi antenati del genere Citrus. La sua larga diffusione nel bacino del Mediterraneo fa propendere per questa seconda ipotesi in quanto, attraverso la Via della Seta, può essere giunto in Europa assieme all’arancio dolce. Nel Vecchio Continente, tuttavia, è stato a lungo utilizzato unicamente come pianta ornamentale e solo nel corso del XIX secolo ne sono state apprezzate le virtù.
Attualmente i maggiori produttori mondiali di pompelmo sono Israele, Stati Uniti (con Florida e Texas) e Africa del Sud, mentre in Italia le coltivazioni si concentrano per lo più in Sicilia ed in Calabria. Descritto per la prima volta nel 1750 nel libro “La storia naturale delle Barbados”, in cui veniva definito una delle sette meraviglie dell’isola per la bellezza dei fiori e la bontà dei frutti, è stato paragonato al pomo proibito dell’Eden e battezzato “Citrus paradisi”, nome che ancora oggi lo identifica in botanica. Ma il frutto del paradiso si è rivelato essere anche l’agrume della salute.
Dal punto di vista nutrizionale, infatti, il pompelmo è ricco di fibre, utili per favorire il transito intestinale, e di vitamine tra cui la A, indispensabile per la vista e per la riproduzione e la vitalità di tutte le cellule epiteliali che rivestono l’esterno e l’interno del corpo, la B1 e la B3, necessarie per il buon funzionamento del sistema nervoso, la B2, essenziale per il trofismo e la riparazione dei tessuti, soprattutto quelli del sistema nervoso centrale e periferico, ed, infine, la C, fondamentale per contrastare i radicali liberi, per la sintesi del collagene e per l’assorbimento e l’utilizzazione del Ferro.
Sono, inoltre, presenti alcuni flavonoidi, sostanze dall’azione antiossidante, la fenilalanina, un amminoacido essenziale che prende parte a tutti i processi metabolici del nostro organismo, e numerosi sali minerali tra cui il Potassio, che interviene nel bilancio idrico del corpo, il Calcio e il Fosforo, elementi strutturali di ossa e denti, il Magnesio, responsabile di molti basilari processi tra cui la trasmissione degli impulsi muscolari e nervosi, ed il Ferro che, come costituente dell’emoglobina, facilita il trasporto dell’ossigeno nel sangue.
Da non sottovalutare, anche, il ruolo antibatterico che, negli ultimi anni, è stato attribuito all’estratto ottenuto dai semi di questo frutto. A partire dagli anni Ottanta, infatti, numerosi studi hanno confermato la presenza all’interno dei semi di pompelmo di sostanze, i già citati flavonoidi, che agiscono come veri e propri antibiotici naturali. Ulteriori ricerche condotte in campo farmacologico, inoltre, hanno messo in evidenza che la bergamottina, una sostanza contenuta nel succo, interferisce con il metabolismo di alcuni farmaci mediante inibizione di un complesso di enzimi responsabili della loro elaborazione da parte del fegato. E’ dunque consigliabile, se si stanno intraprendendo terapie farmacologiche, richiedere il parere del medico.
Infine una curiosità. Come accennato, il pompelmo è un ibrido derivante dall’unione dell’arancio dolce con il pomelo, un agrume di circa otto chilogrammi poco conosciuto in Italia. Grazie a questo gigantesco progenitore anche il pompelmo può raggiungere grosse dimensioni fino a sfiorare addirittura i due chili di peso.
La mela: il frutto per eccellenza
La storia è ricca di leggende e racconti sulla mela, uno dei frutti più conosciuti e diffusi sulle nostre tavole. Secondo la tradizione biblica fu proprio la mela, frutto dell’ albero della conoscenza del bene e del male, a far cadere in tentazione Adamo ed Eva che, mangiandola, diedero origine al peccato.
Anche se questo racconto è sicuramente il più noto, nel corso dei secoli la mela ha perso la sua accezione negativa per far posto ai più svariati aneddoti. Come quello riguardante il leggendario eroe svizzero Guglielmo Tell, vissuto tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo d.C. che, colpendo con una freccia una mela posta sulla testa del figlio, riuscì a salvarsi la vita.
Da non trascurare anche gli studi effettuati nella seconda metà del 1600 da Isaac Newton. Secondo la tradizione, egli intuì la legge di gravitazione universale grazie ad una mela che gli cadde sulla testa mentre era sdraiato sotto un albero. Oltre che in miti e racconti, la mela è presente anche in numerose fiabe, come in quella di Biancaneve e i Sette Nani dei fratelli Grimm, e nella moderna simbologia. Accanto alla mela come simbolo di New York, infatti, questo frutto presta il suo nome alla casa discografica inglese fondata dai Beatles nel 1968 (Apple Records) e la sua immagine al logo dei pc dell’azienda informatica Apple.
Originaria dell’Asia Centrale dove veniva coltivata già nel periodo Neolitico (resti fossili di spicchi di mele carbonizzati sono stati rinvenuti in siti archeologici localizzati in quello che è l’odierno Kazakistan), la mela si è diffusa, attraverso il Medio Oriente, dapprima in Egitto lungo le vallate del Nilo e, successivamente, in Grecia. Grazie alle conquiste dell’Impero Romano giunse in Occidente e da qui, in tutta l’Europa continentale. Chissà se quando l’albero delle mele venne coltivato per la prima volta dai nostri lontani antenati, qualcuno di loro immaginò che i suoi frutti avrebbero riscosso così tanto successo nei secoli a venire.
Il primo ad accorgersi delle loro numerose proprietà terapeutiche fu Ippocrate, il più famoso medico della storia greca, che già nel 400 a.C. ne raccomandava l’assunzione quotidiana. Nell’anno 1100, alla scuola medica di Salerno, si istruivano gli allievi circa le qualità terapeutiche della mela soprattutto riguardo la cura di affezioni a carico dei polmoni, dell’intestino e del sistema nervoso.
Nel corso dei secoli gli studi concernenti questo prezioso frutto si fecero sempre più intensi tanto che agli inizi del 1900 venne ideato il detto “una mela al giorno toglie il medico di torno”. Quale stereotipo è mai stato più azzeccato! Infatti, al di là di tradizioni e leggende, grazie alle sue numerose virtù, la mela è da sempre considerata un vero e proprio farmaco naturale ed un valido alleato per il benessere del nostro corpo. Da un punto di vista nutrizionale, infatti, la mela è ricca di vitamine quali la C, importante per le difese immunitarie e per l’assorbimento e l’utilizzazione del Ferro, la A, dall’azione protettiva sulle mucose e sugli epiteli in genere ed alcune del gruppo B (tra cui la B1, la B2, la PP, la B6 e la B9) utili contro la spossatezza.
Sono, inoltre, presenti numerosi minerali quali il Fosforo, il Calcio, il Magnesio, il Ferro e lo Zinco, ed elettroliti come il Potassio. Il modesto contenuto calorico e la sua caratteristica di bloccare la sensazione della fame, dovuta all’alta concentrazione di pectina, rendono la mela un alleato essenziale nei regimi alimentari ipocalorici. La pectina, fibra alimentare contenuta specialmente nella buccia, è infatti capace di unirsi all’acqua. In tal modo forma una consistente massa all’interno dello stomaco che, di conseguenza, aumenta il senso di sazietà. Sia nella polpa che nella buccia sono, inoltre, presenti eteri, tannini, alcoli, aldeidi e un elevato numero di terpeni che rendono infinitamente vario il profumo ed il sapore delle mele.
Generalmente tonde, le mele hanno un colore che, a seconda della varietà, varia dal verde al giallo e al rosso, con presenza più o meno rilevante di piccole macchie e striature. La buccia, solitamente liscia, è sottile e resistente. Il robusto picciolo è ancorato al frutto all’interno della cavità peduncolare. La lieve infossatura presente all’estremità opposta è, invece, chiamata calicina. La bianca polpa, dal sapore dolce o lievemente aspro, può essere soda, succosa e, a volte, farinosa. Le mele sono dei pomi, ossia dei falsi frutti in cui la polpa ha origine dal ricettacolo del fiore e non dall’ovario. Il vero frutto è il torsolo al cui interno sono contenuti i semi.
In Italia le mele sono coltivate soprattutto nelle regioni del Nord, in particolare nel Trentino Alto Adige. Se ne conoscono oltre mille varietà tra cui le più comuni sono: le Fuji dal colore rosato e dal dolce sapore, le gialle Golden Delicious, le verdi Granny Smith, le Renetta, mele carnose per eccellenza dalla singolare buccia ruvida al tatto e dal colore verde chiaro punteggiato di ruggine che, maturando, vira verso il giallo e le rosse Stark Delicious. Altrettanto note sono due varietà ottenute dall’ibridazione, ossia dall’incrocio, di due specie differenti: le Pink Lady, dalle sfumature rosa e le mele Ambrosia, dal sapore estremamente dolce. Infine una curiosità. Il termine pomata, deriva dal latino “pomum”, ossia pomo, poiché la polpa della mela veniva utilizzata come eccipiente negli unguenti medicinali per favorire l’assorbimento del principio attivo attraverso la pelle.
I Mandarini o Citrus Reticulata Blanco
Il mandarino (Citrus reticulata Blanco) è un tipico frutto autunnale proveniente dall’omonimo arbusto sempreverde e appartenente alla famiglia delle Rutaceae.
Originario della Cina meridionale, i primi esemplari vennero introdotti in Sicilia agli inizi dell’Ottocento. Attualmente il mandarino è coltivato soprattutto nei paesi del Mediterraneo, negli Stati Uniti e nell’Africa del Sud.
In Italia la quasi totalità delle coltivazioni sono in Sicilia ed in Calabria, dove la raccolta dei frutti si effettua da dicembre a gennaio.
Le varietà maggiormente commercializzate sono il mandarino comune detto anche Avana, il mandarino tardivo di Ciaculli, il King di origine cinese, il Cleopatra ed il Satsuma, provenienti, rispettivamente, dall’India e dal Giappone, il Tangerine, che deve il proprio nome alla città marocchina di Tangeri, ed, infine, il mandarino cinese o Kumquat, l’unico ad essere consumato intero, in virtù del dolce sapore della buccia che contrasta con quello aspro del succo.
Di grande importanza commerciale sono anche alcune varietà ibride ottenute dall’incrocio dei mandarini con altri agrumi come l’arancio, l’arancio amaro ed il pompelmo per ottenere, rispettivamente, i mandaranci, le clementine e i mapo. Il mandarino è un agrume di piccole dimensioni, tondeggiante, di colore arancione e con buccia irregolare. E’ composto da dolci e dissetanti spicchi ricchi di succo.
Dal punto di vista nutrizionale il mandarino presenta svariati benefici. Nella buccia è presente il limonene, un composto chimico che, oltre ad essere responsabile del caratteristico profumo degli agrumi, aiuta a combattere i radicali liberi e ad ostacolare l’invecchiamento cellulare. Il frutto contiene vitamina C, di aiuto al nostro organismo per rinforzare le difese immunitarie, alcune vitamine del gruppo B tra cui, in particolare, l’acido folico, essenziale nella prevenzione delle malformazioni neonatali, e la vitamina A, che favorisce la riproduzione cellulare e la visione notturna. Il mandarino è, inoltre, una buona fonte di Potassio, che regola il ricambio idrico del corpo, di Calcio, importante per il sistema scheletrico, di Fosforo, necessario per ossa e denti nonché per stimolare l’attività cerebrale, di Ferro, fondamentale per la sintesi di emoglobina (proteina che permette il trasporto dell’ossigeno nel sangue e la sua cessione ai vari tessuti), e di fibre vegetali, indicate per migliorare la funzionalità intestinale. Infine, per il contenuto in Bromo, sedativo che agisce sul sistema nervoso centrale, il mandarino possiede proprietà calmanti.
Infine una curiosità circa il nome “mandarino”. Quando questo frutto fece la sua prima comparsa nel bacino del Mediterraneo venne così chiamato in onore della sua origine cinese. L’intento era quello di rendere omaggio alla classe dei mandarini, i funzionari di Stato incaricati dell’intera gestione degli affari pubblici cinesi. Questo appellativo non tardò a diventare il suo nome comune, con il quale ancora oggi viene identificato.
LEGGI ANCHE IL MIO ARTICOLO SUL POMPELMO o CITRUS PARADISI
Il Kiwi o Actinidia chinensis Planch
Il Kiwi o Actinidia chinensis Planch. è una pianta da frutto dal portamento rampicante appartenente alla famiglia delle Actinidiaceae. Originaria della Cina, dove era nota con il nome di Uva Spina Cinese, venne importata nei primi del 1900 in Nuova Zelanda.
Qui ebbe inizio, seppur a scopo puramente ornamentale, la sua coltivazione intensiva e le venne attribuito il nome del piccolo uccello simbolo della nazione: il kiwi. In Italia giunse solo dopo il 1970 e, nonostante preferisse inverni freddi ed estati calde ed umide, si adattò in breve tempo al nostro clima.
Secondo i dati forniti dalla FAO (Food and Agricolture Organization), infatti, l’Italia vanta il primato di produttore mondiale di kiwi, seguita dalla Nuova Zelanda, dal Cile e dalla Francia. I frutti nostrani, reperibili da novembre a giugno, sono coltivati principalmente in Emilia Romagna, Piemonte, Lazio, Campania e Puglia.
La varietà di Kiwi più nota è la Hayward, di forma ovale, buccia scura ricoperta da peluria e polpa verde e soda dal sapore dolce ma al contempo acido. Immersi nella polpa, si trovano numerosi piccoli semi neri che, disposti a raggiera, formano un piccolo cerchio attorno al centro del frutto.
Esiste anche la varietà Gold, più allungata, priva di peli esterni e dalla polpa gialla, ed il meno noto kiwi rosso, non ancora coltivato su larga scala, caratterizzato da una vivida colorazione scarlatta al centro del frutto. Recentemente alcuni negozi espongono anche l’Ananas-Kiwi, una varietà di kiwi dalla consistenza più acquosa, con polpa gialla e sapore dolce simile a quello dell’ananas.
Dal punto di vista nutrizionale la caratteristica principale del kiwi è l’alto contenuto di Vitamina C (nettamente superiore a quello delle arance), necessaria per l’assorbimento e l’utilizzazione del Ferro e ottimo antiossidante per proteggere l’organismo dall’azione nociva dei radicali liberi. Il frutto contiene, inoltre, le Vitamine B1 B2 e B3, utili, nel complesso, per il funzionamento del sistema nervoso e per il metabolismo dei nutrienti, oltre al Calcio e al Fosforo, importanti costituenti delle ossa e dei denti, e al Ferro, indispensabile per la produzione di emoglobina. L’abbondante presenza di Potassio, che consente un ottimale ricambio idrico nel corpo, lo rende un importante alimento anche per chi pratica una attività sportiva. Il buon contenuto di Magnesio, che interviene in molti processi metabolici dei carboidrati, delle proteine degli acidi nucleici, insieme alla presenza di Calcio e di Fosforo, fa del Kiwi un frutto indispensabile per le nostre ossa. Il kiwi possiede, infine, pochissime calorie e tante fibre, utili per regolarizzare la motilità intestinale.
Lenticchie: la fortuna vien mangiando!
Ormai da qualche anno è esplosa anche in Italia la mania del gioco: bingo, lotto, superenalotto, gratta e vinci sono solo alcuni esempi. In questo mese, in particolare, sale la febbre per l’acquisto dei biglietti della lotteria nazionale di Capodanno poiché, è noto, un biglietto vincente può rendere milionari. Ma non solo i numeri portano fortuna. Ed ecco che accanto a chi gioca quelli ricordati al risveglio da un sogno o a chi si ferma in autogrill alla ricerca di un biglietto fortunato c’è ancora chi confida in un semplice ingrediente della nostra cucina come simbolo di buon auspicio per l’anno nuovo. E’ infatti una tradizione che non tramonta quella di arricchire le tavole già imbandite dei cenoni della notte di San Silvestro con un tipico “fortunato” contorno: le lenticchie.
L’usanza di mangiarle l’ultimo giorno dell’anno deriva da un antico rito pagano secondo cui il consumare questa pietanza porti fortuna e, soprattutto, molti soldi. Per l’occasione, anticamente, era anche tradizione donarsi vicendevolmente un portamonete stracolmo di lenticchie con l’augurio che si potessero trasformare un giorno in monete d’oro.
Ma perchè proprio le lenticchie? Secondo il parere di molti esperti sarebbe stata la loro somiglianza con le monete a dare origine a questa usanza che, protrattasi nel tempo, è sopravvissuta fino ai nostri giorni. Ma la similitudine con le monete non è l’unica peculiarità di questi semi rotondi che, grazie alla loro forma, hanno anche denominato le classiche lenti di vetro. Fin dal passato, infatti, si diffusero in tutto il Mediterraneo, diventando un importante componente della dieta dei popoli della Grecia e dell’antica Roma tant’è che il nome di una delle famiglie capitoline più prestigiose, quella dei Lentuli, deriverebbe proprio da questo legume.
L’ elevata considerazione di cui gode emerge anche dal racconto biblico secondo cui Esaù, figlio di Isacco, per un piatto di lenticchie, vendette la sua primogenitura al fratello gemello Giacobbe. Che avesse torto o ragione non ci è dato saperlo, quel che è indubbio è il loro elevato valore nutritivo che lo salvò dalla morte.
Sono, infatti, molto ricche di proteine (circa il 25%), carboidrati (54% ca.), fibre (14% ca.), vitamine (A, B1, B2, PP, B6, B9, C) e minerali (Sodio, Potassio, Ferro, Calcio, Fosforo, Magnesio, Zinco, Rame, Selenio).
Il sapore varia a seconda delle dimensioni e del colore. Le più gustose sono generalmente quelle a seme piccolo. Tra le varietà più pregiate meritano un cenno le lenticchie di Castelluccio di Norcia, molto piccole e particolarmente saporite. Da non dimenticare anche le lenticchie verdi di Altamura, quelle grandi di Villalba e quelle marrone scuro di Ustica. Quest’ultime, in particolare, crescono sui terreni vulcanici dell’isola e sono ancora oggi coltivate con antiche pratiche manuali.
Di qualsiasi varietà esse siano, non potranno comunque mancare sulle vostre tavole nella notte più attesa dell’anno. Servitele a fine cena, anche dopo il dolce e, allo scoccare della mezzanotte, buttate un occhio al vostro portamonete. Non si sa mai, la fortuna potrebbe esser giunta direttamente dalla vostra tavola.
Felice 2009 a tutti.
Non lanciate le arance!!!
Gli agrumi, simboli del sole e del calore mediterraneo sono originari del Medio Oriente e furono importati in Sicilia dagli arabi tra il IX e l’XI secolo d.C. Solo nel XVII secolo, tuttavia, si rinvengono le prime tracce della loro coltivazione ad opera dei gesuiti.
Oggi in Italia la produzione di arance, limoni, mandarini, clementine, bergamotti e chinotti si concentra principalmente nelle regioni meridionali, conla Sicilia in testa.
Gli alberi si distinguono per i fiori bianchi profumati e per i frutti dal colore acceso. Questi ultimi hanno un sapore aspro ma al contempo dolce e sono caratterizzati da una forma rotondeggiante.
Ed è proprio questa forma che li rende anche protagonisti dello Storico Carnevale di Ivrea, in occasione del quale è stravagante e “pacifica” tradizione colpire con le arance chi sfila sui carri dando luogo ad un vero e proprio scontro.
Tra gli agrumi che imbandiscono le nostre tavole, in particolare, l’arancio vanta il primato di essere quello più diffuso. Vi sono arance a polpa bionda e a polpa rossa. Il colore di queste ultime è dovuto alla presenza, al loro interno, di pigmenti antocianici. Nei mercati ortofrutticoli sono reperibili quasi tutto l’anno, ma soprattutto nella stagione invernale se ne apprezzano maggiormente i benefici essendo tutte comunque ricche di vitamina C, utile al nostro organismo per rinforzare le difese immunitarie.
In un uomo adulto, la dose giornaliera abitualmente raccomandata di questa vitamina si aggira intorno ai 60 milligrammi. Ma quante arance dobbiamo mangiare per assumerne ogni giorno la giusta quantità? La risposta è semplice. Considerando che un etto di arance contiene circa 40-50 mg di vitamina C, basterebbe mangiarne tutti i giorni circa120 grammi(corrispondenti ad un frutto di medie dimensioni).
Ma le proprietà delle arance non finiscono qui:
Contengono anche alcune vitamine del gruppo B tra cuila B3, o niacina, importante perché partecipa al metabolismo dei nutrienti e la B9, ossia l’acido folico, essenziale per lo sviluppo e il buon funzionamento del sistema nervoso e del midollo osseo. Da non trascurare anche la presenza di sali minerali quali il calcio, indispensabile per la formazione e la buona salute di ossa e denti, il fosforo, che stimola l’attività cerebrale ed il magnesio, che contribuisce a mantenere l’equilibrio del sistema nervoso.
A proteggere esternamente l’arancia e le sue proprietà vi è la scorza, volgarmente detta buccia, ricca di pigmenti e di oli essenziali molto profumati. Caratterizzata da una leggera ruvidezza, è diventata termine di paragone anche in campi assolutamente diversi da quello alimentare: si parla ad esempio di pelle a “buccia d’arancia” in dermatologia o di superfici a “buccia d’arancia” in edilizia.
Nonostante queste similitudini, l’arancio è un frutto prezioso, gradevole al gusto e ricco di sostanze nutrienti utili. Per tutti questi motivi, nei mesi invernali, perché non aggiungere alla nostra colazione una dissetante e nutriente spremuta d’arancia contro i malanni di stagione? E se le arance non vi piacciono, non vi preoccupate, potete sempre utilizzarle partecipando alla tradizionale “Battaglia delle Arance” di Ivrea.