Mirtilli
Frutto tipico del sottobosco, il mirtillo cresce spontaneo in fitte macchie tappezzando i terreni silicei e ricchi di humus dei boschi alpini ed appenninici. Appartenente alla famiglia delle Ericacee, la pianta di mirtillo è un piccolo arbusto alto circa 60 centimetri che fiorisce in primavera ed i cui frutti si raccolgono in agosto.
Si distinguono differenti specie tra le quali il “mirtillo nero”, il “rosso” ed il “blu” che crescono spontanei in Europa, il “gigante americano” originario del Nord America e quello “australe”. Secondo alcune recenti ricerche effettuate negli Stati Uniti, queste piccole ma preziose bacche sono dotate di un enorme potere antiossidante, in grado di prevenire patologie cardiovascolari e di ritardare il naturale processo di invecchiamento cellulare. A tale riguardo i principali responsabili sono gli antocianosidi, sostanze appartenenti alla famiglia dei bioflanoidi.
Al mirtillo nero (Vaccinium myrtillus), in particolare, vengono riconosciute il maggior numero di proprietà benefiche per l’organismo umano. I principi attivi in esso contenuto lo rendono, oltre che un prezioso alleato per contrastare i danni provocati dai radicali liberi, anche un ottimo aiuto per i problemi alla vista. Nello specifico sono di estrema importanza i gia citati antocianosidi che, modulando l’attività di determinati enzimi, attivano la rigenerazione di alcuni pigmenti retinici tra i quali la rodopsina. In questo modo favoriscono l’adattamento degli occhi al buio aumentando l’acuità visiva durante la visione crepuscolare e notturna. L’efficacia del mirtillo nelle affezioni della vista è balzata all’attenzione medica solo durante la seconda guerra mondiale in seguito ad accertamenti sanitari effettuati su alcuni aviatori della RAF, la Royal Air Force britannica. Si osservò, infatti, che i piloti anglosassoni, grandi consumatori di marmellata di mirtilli, possedevano una miglior capacità visiva notturna rispetto ai colleghi delle altre aeronautiche militari.
Diversi studi clinici hanno confermato, inoltre, come gli stessi antocianosidi siano in grado di ottimizzare la microcircolazione esercitando un’azione protettiva nei confronti delle pareti dei vasi sanguigni. In questo modo contribuiscono a diminuire la fragilità capillare e a migliorare il deflusso venoso. Da non trascurare anche la presenza di eterosidi flavonoidici, dall’azione angioprotettiva, utili nel trattamento dei disturbi vascolari periferici.
Ma non finisce qui. I frutti del mirtillo contengono diversi acidi organici tra i quali l’acido citrico (usato come rimedio metabolico per abbassare l’acidità dell’organismo) e l’acido cinnamico (utilizzato nell’industria alimentare per la sintesi di aromi), tannini (dalle proprietà astringenti, antibatteriche e antifungine), pectine (polisaccaridi che rendono croccanti i frutti) e le vitamine A, C ed alcune del gruppo B.
Incredibile ma vero quindi! Nonostante le piccole dimensioni questi colorati frutti tondi sono vere e proprie bacche portentose rappresentando non solo un naturale nutrimento per gli occhi, ma anche un eccellente supporto sia per i disturbi circolatori che per quelli intestinali.
Frutti di bosco
Lamponi, mirtilli, more, ribes e fragoline di bosco sono frutti a bacca di piccole dimensioni che nascono e crescono spontanei nei boschi del dorsale appenninico sia a quote collinari che montane e che vengono unitamente definiti frutti di bosco.
Nonostante la facile reperibilità questi colorati frutti non hanno mai occupato un posto di rilievo nella storia della cucina tradizionale. Gli unici riferimenti alle loro caratteristiche nutrizionali si ritrovano per lo più in trattati di medicina relativi alle proprietà benefiche degli alimenti, come in quello del 1583 redatto da Baldassarre Pisanelli, illustre medico e docente di medicina bolognese. Ad oggi la moderna bibliografia ritiene i frutti di bosco essenziali per una corretta alimentazione. Al mirtillo e al suo eccezionale potere antiossidante ed antibatterico ho riservato un intero articolo. Non mi resta, pertanto, che analizzare nel dettaglio gli altri componenti di questo gruppo.
Mora (Rubus ulmifolius)
Tra tutti i frutti di bosco la mora è senz’altro quella di più facile coltivazione: ne è segno la diffusione allo stato spontaneo in quasi tutta la penisola. Si distinguono la mora di rovo, che può essere rossa e nera, e quella di gelso, dal colore rosso, le cui foglie rappresentano un ottimo nutrimento per il baco da seta.
La mora è un frutto estremamente delicato: matura nei mesi estivi e va mangiato appena colto poiché difficile da conservare. Profumato e succulento è ricco di vitamina A (utile per migliorare la visione notturna e per proteggere dalle infezioni la pelle ed il rivestimento mucoso della gola, dei polmoni, dello stomaco e delle vie urinarie), C (indispensabile all’organismo per prevenire i danni provocati dai radicali liberi) e acido folico (essenziale allo sviluppo del sistema nervoso e del midollo osseo). Contiene, inoltre, fibre, efficaci nel migliorare la funzionalità intestinale, potassio, che regola il ricambio idrico del corpo, calcio, per la formazione delle ossa e dei denti e magnesio, che oltre ad essere fondamentale per la buona salute delle cellule, favorisce l’assorbimento degli altri minerali.
Ribes
Questo frutto è costituito da piccole bacche unite in grappoli dal sapore dolce e acidulo al tempo stesso. Esistono tre specie principali di ribes: quello rosso (Ribes rubrum), quello nero (Ribes nigrum) e l’uva spina (Ribes grossularia), dal colore giallo, verde o violetto. Le prime due varietà sono le più diffuse in Italia e contengono una buona quantità di vitamina C, potassio, ferro ed acidi organici, molecole fondamentali per l’organismo per neutralizzare acidi di diversa origine che si formano durante numerosi stati morbosi. Il ribes viene, infatti, utilizzato soprattutto per le sue proprietà antinfiammatorie, diuretiche e depurative.
Lampone (Rubus idaeus)
Piuttosto comune nei boschi dell’Europa e dell’Asia, dove cresce allo stato spontaneo, il lampone viene coltivato nelle regioni temperate per i suoi gustosi e profumatissimi frutti. Di colore rosso, giallo o nero, matura tra metà giugno e fine settembre.
Tra tutti i frutti di bosco, i lamponi sono considerati, da un punto di vista nutrizionale, quelli sicuramente più completi per il contenuto in fibre, vitamine e minerali.
Sono, infatti, utilizzati in fitoterapia per le loro proprietà antiossidanti, dovute alla presenza di vitamina C, ricostituenti, grazie al complesso di vitamine del gruppo B fondamentali contro l’astenia, astringenti ed antinfiammatorie: l’infuso di foglie è utile in presenza di stomatiti, disturbi intestinali ed irritazioni della gola. Da non trascurare anche il contenuto di potassio, indispensabile per il bilancio idrico del corpo, di calcio, che rinforza la struttura scheletrica dell’organismo, di fosforo, indispensabile nei processi di produzione di energia e per stimolare le contrazioni muscolari ed, infine, di magnesio, che interviene nel metabolismo dei carboidrati e delle proteine.
Fragolina di bosco (Fragaria vesca)
Anche se alle fragole ho già parlato, meritano, comunque, una breve menzione quelle di bosco, sicuramente uno dei piccoli frutti più rinomati.
Se ne conoscono diverse sottospecie: la Fragaria vesca semperflorens, chiamata fragola delle Alpi o fragola delle quattro stagioni, di colore rosso chiaro o bianco, la Fragaria vesca sativa, detta fragola di Germania, di colore rosso cupo e sapore muschiato e la Fragaria vesca viridis, detta fragola della collina o fragola stellata, con frutti di colore rosso scuro e tipica delle zone collinari. Queste varietà crescono spontanee nel sottobosco e sono caratterizzate da un intenso ed aromatico profumo. Contengono una elevata quantità di vitamina C (superiore a quelle contenuta nelle arance), Potassio, Calcio, Magnesio e Ferro, necessario per la sintesi di emoglobina (proteina che permette il trasporto dell’ossigeno nel sangue e la sua cessione ai vari tessuti).
Conclusa la rassegna dei principali frutti del sottobosco che crescono spontanei in Italia, non ci resta che continuare a prenderci cura di noi approfittando dei molteplici benefici che questi piccoli e colorati frutti ci donano generosamente.
La patata
La patata (Solanum tuberosum) è il tubero più utilizzato come alimento nel nostro paese e si contraddistingue per essere un cibo particolarmente versatile e popolare. Nel corso degli anni ha infatti giocato, e gioca tuttora, un ruolo determinante nella diversificazione della dieta di molti paesi.
Originaria delle lontane Ande peruviane, ove si trovano le più antiche testimonianze della sua coltivazione, la patata è stata essenziale per l’alimentazione dei nativi, integrando e arricchendo la loro dieta con vitamine, minerali e proteine di alta qualità. Nel XVI secolo, in seguito all’invasione spagnola per la conquista dell’impero Inca, la pianta della patata si è diffusa dapprima in Europa e, successivamente, in tutto il mondo. Ad oggi è coltivata in circa 100 paesi di tutti i cinque continenti e, in termini di produzione, è la quarta coltura più importante al mondo.
Da un punto di vista prettamente dietetico, il valore nutritivo di un pasto contenente le patate dipende, in primis, dagli alimenti con cui vengono servite e, secondariamente, dalle modalità di preparazione. Da sole, pur essendo un’ottima fonte di energia, le patate non forniscono un elevato apporto calorico ed il senso di sazietà che ne deriva dal mangiarle può, anche ai più golosi, facilitare il controllo del peso corporeo.
La caratteristica principale di questo prezioso tubero è l’elevato quantitativo in esso di un fondamentale carboidrato complesso: l’amido.
Dal momento che gli esseri umani non sono in grado di digerire l’amido crudo, è necessario cuocere le patate prima di procedere al loro consumo. Occorre, tuttavia, ricordare che ogni metodo di cottura ne altera la composizione e che sarebbe, quindi, preferibile, cucinarle con la buccia (sia che si preparino al vapore, bollite o al forno) per prevenire e limitare la perdita dei suoi importanti nutrienti.
Il vantaggio dell’amido è quello di essere assorbito lentamente, provocando un minore innalzamento della glicemia rispetto all’assunzione di zuccheri semplici. Dopo l’ingestione, infatti, esso viene demolito in composti sempre più semplici fino ad ottenere il glucosio che rappresenta lo zucchero immediatamente utilizzabile dall’organismo per svolgere al meglio le attività muscolari e cerebrali a cui siamo chiamati tutti i giorni, garantendo anche il corretto metabolismo degli altri principi nutritivi.
Oltre all’amido, la patata è ricca di numerosi micronutrienti, in particolare di potassio, fosforo e vitamina C. Quest’ultima, come noto, è una importante alleata del nostro organismo e, tra le essenziali funzioni biologiche che spiega, esercita una indispensabile azione antiossidante contro i radicali liberi e promuove l’assorbimento e l’utilizzazione del ferro a sua volta moderatamente presente nelle patate.
I dati forniti dal dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti, secondo mercato di riferimento per il consumo pro-capite di patate dopo l’Europa, hanno evidenziato che un etto di patate bollite e sbucciate contiene il 77% di acqua, oltre a fibre e proteine. Per contro, la stessa quantità fornisce un bassissimo apporto di grassi, tale da sviluppare, in uno agli altri elementi presenti nel tubero, circa 87 Kcal.
Alla luce delle sue caratteristiche, la patata è un nutriente essenziale che dovrebbe sempre accompagnare la nostra alimentazione e rappresenta un importante tassello della amata e decantata dieta mediterranea.
Il melone
Il melone (Cucumis melo) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Cucurbitacee. Nonostante le origini incerte (secondo alcuni autori proviene dall’Asia, secondo altri dall’Africa), le prime prove circa la sua coltivazione sono state rinvenute in Egitto e risalgono al V secolo a.C.
Grazie ai primi scambi commerciali intrapresi nel bacino del Mediterraneo questa coltura giunse nel nostro paese intorno al I secolo a.C. e si diffuse molto rapidamente. Durante l’Impero Romano era talmente apprezzata dalla popolazione che l’Imperatore Diocleziano, per arricchire le casse dello Stato, emise un apposito editto per tassare gli esemplari di peso superiore ai 200 grammi.
I meloni sono, infatti, frutti voluminosi dal peso di circa 1-2 kg e dalla forma ovale o tondeggiante. La buccia esterna protegge la polpa succosa e profumata che, a sua volta, racchiude al suo interno numerosi semi piatti.
I meloni si suddividono in due grandi gruppi: i meloni estivi, presenti sul mercato nel periodo compreso tra giugno ed agosto e quelli invernali, acquistabili in agosto ed in settembre. Questi ultimi hanno la polpa bianca, la buccia liscia e sottile e sono caratterizzati da una elevata capacità di conservazione. Al primo gruppo, invece, appartengono i meloni dalla polpa giallo-arancione tra i quali si distinguono i Retati (o Reticulatus), dalla buccia sottile e corrugata a formare una specie di reticolo, e i Cantalupo (o Cantaloupensis), con buccia spessa e caratterizzata da profondi solchi longitudinali.
Il melone non è solo uno dei frutti più gustosi dell’estate ma è anche ricco di proprietà benefiche. Accanto all’elevato contenuto di acqua, che ne esalta il potere dissetante e aiuta a prevenire la disidratazione, questo gustoso frutto è una formidabile riserva di vitamine e di sali minerali. L’alta presenza di beta-carotene, precursore della vitamina A, oltre a stimolare la produzione di melanina, rende il melone un prezioso alleato per la vista. Da non trascurare anche il contenuto di vitamina C importante per potenziare il sistema immunitario (grazie alla sua azione antiossidante), per la sintesi del collagene e per l’assorbimento e l’utilizzazione del Ferro. Sono, infine, presenti il Potassio, indispensabile per combattere la ritenzione idrica e assicurare un buon ricambio idrico del corpo, il Calcio, per la crescita delle ossa e dei denti ed il Fosforo, che stimola l’attività cerebrale.
Tutte queste proprietà hanno contribuito al successo di questo frutto fin dal passato tanto che lo scrittore francese Alexandre Dumas chiese (ed ottenne, fino alla sua morte nel 1870) alla biblioteca della città di Cavaillon, rinomata per la produzione di meloni, una rendita vitalizia di 12 meloni annui in cambio delle sue opere (circa 400 volumi). In suo onore, in seguito, venne istituita la Confraternita dei Cavalieri dei meloni di Cavaillon.
Anticamente, infine, il melone veniva considerato simbolo di fecondità, forse per la presenza dei numerosissimi semi. Ma proprio per la sua incontrollata capacità generatrice, opposta alla ragione e all’intelligenza era, al contempo, associato al concetto di sciocco e goffo. Infatti uno stolto veniva chiamato mellone e una scemenza mellonaggine.
La pesca
Originario della Cina, dove fin dal 2000 a.C. è considerato un simbolo d’immortalità, il pesco è un albero dagli splendidi fiori e dai gustosi frutti: le pesche.
Grazie al commercio dei mercanti giunsero in Persia, paese dal quale deriva il nome della specie (Prunus persica) e, successivamente, in seguito alle conquiste di Alessandro Magno, si diffusero in tutto il bacino del Mediterraneo.
Di forma rotondeggiante e divisa da un solco longitudinale, la pesca è protetta da una sottile buccia esterna. All’interno la profumata polpa carnosa contiene il nocciolo che a sua volta racchiude il seme.
Quest’ultimo, al pari delle foglie e dei fiori del pesco, presenta una sostanza chimica che libera acido cianidrico ed è, pertanto, velenoso e non edibile.
Esistono molte varietà di pesche distinguibili innanzitutto in relazione alla buccia, che può essere vellutata oppure glabra, come nel caso delle pesche “Nettarine” o “Pesche Noci”. Una ulteriore differenziazione può essere fatta anche in base alla distanza della polpa dal nocciolo: nelle pesche “spiccagnole” la polpa è aderente, mentre nelle “duracine” è staccata dal nocciolo. Infine, se ne individuano diverse varietà anche in riferimento alla polpa: vi sono le pesche “gialle”, succose e profumate e le “bianche”, dalla polpa chiara e filamentosa. Da non trascurare anche la “Percoca”, utilizzata principalmente nell’industria conserviera, la “Merendella” dalla pelle liscia e di colore bianco-verde diffusa in Calabria, e la “Saturnina” dalla forma schiacciata e dal sapore intenso.
Oltre ad essere un piacere per il palato, la polpa succosa della pesca vanta numerose proprietà nutritizie. L’elevata percentuale di acqua (circa il 90%) in essa contenuta la rende estremamente dissetante ed ideale nel periodo estivo per far fronte alla perdita di liquidi che avviene con la sudorazione. Sono di fondamentale importanza anche gli oligoelementi presenti tra i quali spiccano il Potassio, che regola il ricambio idrico del corpo e impedisce la disidratazione delle cellule, il Magnesio, importante per favorire l’assorbimento degli altri minerali e della vitamina C, il Fosforo e il Calcio, indispensabili per la formazione delle ossa e dei denti. Va, inoltre, sottolineato che una pesca soddisfa da sola circa il 10% del fabbisogno giornaliero di vitamina C utile per difendere il nostro corpo dall’attacco dei radicali liberi e per consolidare le ossa. E’ presente anche il β-carotene che, trasformandosi nell’organismo in vitamina A, protegge i tessuti e la vista. Infine la presenza di alcune vitamine del gruppo B, rende la pesca un frutto nutriente ed energetico.
Non va dimenticato l’impiego delle pesche nella cosmesi. Il succo fresco è un eccellente tonico per il corpo mentre dalla polpa frullata con l’aggiunta di panna liquida si ottiene un’idratante maschera per il viso.
Infine una curiosità: il dio egiziano Arpocrate, protettore degli infanti, considerava la pesca un frutto sacro, probabilmente per la somiglianza della sua buccia vellutata alla morbida pelle delle guance dei bambini.
Le meraviglie dell’Anguria
A procurarci il cibo più adatto ad ogni stagione ci pensa madre natura.
Nei mesi estivi, infatti, quando il caldo si fa intenso ed il consumo di liquidi da parte del nostro organismo aumenta, la dieta si arricchisce di tanta frutta salutare e ricca di acqua.
E cosa c’è di meglio di un’invitante fetta di anguria?
Con quei suoi colori accesi, il gusto rinfrescante ed il sapore dolcissimo è senza dubbio il simbolo incontrastato dell’estate.
Il frutto è un peponide con forma che varia dallo sferico all’ovoidale, buccia verde dalle diverse tonalità, uniformi o striate, e polpa croccante più o meno rossa. Le dimensioni sono variabili secondo le varietà botaniche della pianta.
Le varietà di anguria più diffuse in Italia sono la Crimson Sweet, la Sugar Baby e la Blue Bell e tra le nostrane vi sono il cocomero di Pistoia, quello di Faenza e, per finire, la Quarantina e la Cinquantina, così chiamate per il numero di giorni necessari alla loro maturazione.
Accanto alle angurie “classiche” il cui peso può arrivare fino a 20 kg, ultimamente sul mercato sono apparse anche le “mini angurie” dal peso di 2-3 kg al massimo, ma che presentano le stesse proprietà organolettiche delle loro sorelle maggiori.
Il cocomero è reperibile da maggio a settembre e per maturare necessita di un clima caldo-temperato. E’ infatti originario dell’Africa tropicale dove, in alcune regioni, cresce ancora allo stato selvatico. Chiamato localmente Tsamma (Citrullus lanatus var. citroides), è particolarmente prolifico tanto che per singolo fusto può produrre anche un centinaio di frutti. E’ per questo motivo che nelle regioni desertiche e siccitose è conosciuto e apprezzato da millenni.
Grazie ad alcuni geroglifici è stato possibile far risalire le prime coltivazioni all’antico Egitto circa 5000 anni fa.
Il frutto costituiva per le popolazioni locali una preziosa risorsa idrico alimentare e veniva spesso deposto nelle tombe dei faraoni come mezzo di sostentamento per l’aldilà.
Anche in un passo della Sacra Bibbia, nel libro dei Numeri, ne vengono riportate le virtù. Si narra, infatti, che gli Ebrei, durante la faticosa traversata del deserto del Sahara, rimpiansero i trascorsi tempi della schiavitù in Egitto, quando potevano cibarsi di cocomeri e meloni.
Il cocomero è infatti in assoluto il vegetale più ricco di acqua, oltre il 95% del suo peso è rappresentato da questa preziosa molecola che gli conferisce notevoli proprietà dissetanti e diuretiche. A fronte anche di un irrilevante apporto calorico, esso è sicuramente indicato nei casi di ritenzione di liquidi, gonfiori alle gambe, cellulite e ipertensione. Sono inoltre presenti vitamina A, C, potassio e carotenoidi, sostanze, quest’ultime, fondamentali per ridurre i radicali liberi presenti nel nostro organismo.
Ottima al naturale, l’anguria è ideale anche per preparare gelati, dolci, bevande e marmellate. Nella cosmesi, infine, la polpa è utilizzata per preparare maschere idratanti ed il succo per realizzare lozioni emollienti.
Che dire, con tutte queste virtù non ci resta che sederci, rilassarci ed abbandonarci al piacere di questo vivace simbolo dell’estate.
Il Pomodoro o Solanum lycopersicum L.
Il pomodoro (Solanum lycopersicum L.) è una pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae. Originario del Cile e dell’Ecuador dove, grazie al clima tropicale, tuttora cresce allo stato spontaneo, giunse in Europa nel XVI secolo e, successivamente, si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo.
A lungo venne coltivato unicamente a scopo ornamentale, non tanto per la bellezza dei suoi fiori, quanto per la credenza che fosse una pianta dai frutti velenosi e, pertanto, non commestibili.
Fu solo verso la fine del 1700 e gli inizi del 1800 che il pomodoro iniziò ad essere coltivato a scopo alimentare e, da allora, rappresenta uno degli ortaggi più consumati al mondo.
In Italia la produzione si concentra per lo più in Emilia Romagna, in Campania, in Puglia ed in Sicilia dove se ne coltivano moltissime varietà. Distinte principalmente in base alla forma, le più note sono i pomodori costoluti (tra cui il Marmande e il Pantano), i tondi lisci (come il Montecarlo e il Money Maker), i piccoli ciliegini (ad esempio il Tity), gli ovali (come il Piccadilly) ed, infine, i pomodori allungati (il più famoso dei quali è il San Marzano).
Quanto alle proprietà nutrizionali, i pomodori sono dei veri e propri concentrati di salute, tanto da essere annoverati tra gli alimenti base della nostra alimentazione. L’aspetto sicuramente più rilevante è l’elevato potere antiossidante dovuto alla contemporanea presenza di diverse sostanze in grado di proteggere il nostro organismo dall’azione nociva dei radicali liberi. Tra queste ultime spiccano, in particolare, il Licopene, carotenoide di colore rosso estremamente abbondante in questo ortaggio, la vitamina A, che protegge le mucose e le cellule epiteliali del corpo e la vitamina C, indispensabile per la sintesi del collagene e per l’assorbimento e l’utilizzazione del Ferro. Sono, inoltre, presenti la Tiamina (vitamina B1), importante regolatore del metabolismo dei carboidrati, la Riboflavina (vitamina B2), fondamentale per il funzionamento di alcuni enzimi che intervengono nella trasformazione dei nutrienti in energia, la Niacina (vitamina B3 o PP) che, oltre a giocare un ruolo chiave nel metabolismo dei glucidi, dei protidi e dei lipidi, è essenziale per l’integrità di tutti i tessuti del corpo.
I pomodori sono anche un’ottima fonte di Fibre, utili per regolarizzare il transito intestinale, nonché di elettroliti e minerali quali il Potassio, che interviene nel bilancio idrico del corpo, il Ferro, fondamentale contro l’anemia, il Calcio, per la funzionalità del sistema nervoso e per la contrazione muscolare ed il Fosforo, che, insieme al Calcio, è un costituente essenziale del tessuto osseo.
L’elevato quantitativo di acqua, inoltre, unitamente alle poche calorie e alla quasi assenza di lipidi, li rende un alimento ideale per tutti coloro che intendono controllare le calorie introdotte con l’alimentazione. Nonostante tutte queste proprietà benefiche i pomodori presentano, tuttavia, qualche piccola controindicazione. Innanzitutto la presenza di acidi organici, quali l’acido citrico e l’acido malico, se da un lato concorre a ridurre il pH dello stomaco favorendo la digestione, dall’altro rende i pomodori non adatti a chi soffre di acidità ed irritazione gastrica.
Da non trascurare anche il contenuto di istamina, composto azotato liberato dal nostro organismo durante le reazioni allergiche e di Solanina, una sostanza naturale tossica responsabile di potenziali malesseri per il nostro organismo quali disturbi gastrointestinali e neurologici. Ed è forse per questo motivo che in passato il pomodoro era circondato da un alone di mistero che lo rendeva un ingrediente essenziali di pozioni e filtri magici dagli ipotetici poteri afrodisiaci. Che sia vero oppure no, resta il fatto che il pomodoro, colorando di rosso moltissimi piatti della cucina mediterranea, è uno degli ortaggi più diffusi sulle nostre tavole.
Il Basilico o Ocimum basilicum L.
Il basilico (Ocimum basilicum L.) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Labiateae. Originario dell’Asia tropicale, attraverso l’India ed il Medio Oriente si diffuse dapprima in Grecia e in Italia e, successivamente, nel resto dell’Europa.
Coltivato in tutto il mondo per il gradevolissimo profumo delle sue foglie, il basilico è una delle erbe aromatiche maggiormente conosciute ed utilizzate in cucina.
Le varietà più diffuse sono il “basilico genovese” dal gusto deciso e usato per preparare il famoso pesto, il “fine verde” dalle dolci e piccole foglie, il “tailandese” dall’aroma mentolato, il “messicano” il cui sapore ricorda quello della cannella ed, infine, il lievemente piccante “porpora messicano”.
Dal punto di vista nutrizionale sono presenti diversi sali minerali ed elettroliti quali il Sodio ed il Potassio, che regolano l’equilibrio acido-base e intervengono nel bilancio idrico del corpo, il Ferro, indispensabile per la produzione dell’ emoglobina, la proteina che trasporta l’ossigeno nel sangue, il Calcio, necessario per la coagulazione del sangue e per la formazione del tessuto osseo ed, infine, il Fosforo, fondamentale nei processi di produzione di energia quali il metabolismo dei grassi, dei carboidrati e delle proteine.
Sono, inoltre, presenti la vitamina A, che favorisce la visione notturna e la riproduzione delle cellule epiteliali che rivestono l’esterno e l’interno del corpo, la vitamina C, importante per rinforzare le difese immunitarie, per la sintesi del collagene e per l’assorbimento e l’utilizzazione del ferro ed alcune del gruppo B tra cui la B1 o Tiamina, che regola il metabolismo dei carboidrati, la B2 o Riboflavina, per il trofismo e la riparazione dei tessuti e la B3 o Niacina, per l’integrità di tutti i tessuti del corpo e per il buon funzionamento del sistema nervoso. Oltre che per le proprietà dei suoi costituenti, il basilico si è distinto fin dal passato per le numerose credenze e superstizioni a lui associate.
Gli antichi Egizi, ad esempio, lo utilizzavano per imbalsamare i defunti poiché lo ritenevano di buon auspicio per l’aldilà. I greci ed i Romani erano invece certi che per far crescere una rigogliosa piantina di basilico fosse necessario accompagnare la semina con insulti e maledizioni. Antiche leggende popolari, poi, narrano le più disparate convinzioni: dalla capacità di prevenire le contaminazioni delle acque o di allontanare i fulmini durante i temporali, al potere di attirare gli scorpioni o di generare veri e propri stati di pazzia. Che sia vero oppure no non è dato saperlo, quel che è certo è che le sue profumate foglioline verdi sono ideali, soprattutto nel periodo estivo, per insaporire e dare un tocco di colore in più alle nostre pietanze.
Gli Spinaci o Spinacia oleracea L.
Gli spinaci sono le foglie commestibili dell’omonima pianta erbacea (Spinacia oleracea L.) appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae.
Originari delle regioni sud-occidentali dell’Asia, giunsero in Italia tra il XIII e il XIV secolo d.C., ma solo verso la fine del 1800 si diffusero nelle nostre cucine. Oggi le Regioni in cui si coltivano maggiormente sono la Toscana ed il Lazio, seguite dalla Campania, dalle Marche, dal Veneto e dal Piemonte.
Reperibili quasi tutto l’anno, le piante di spinacio, una volta maturate, raggiungono una altezza che oscilla tra i 70 e gli 80 cm e presentano foglie riunite a rosetta di colore verde scuro.
La forma e le dimensioni variano poi a seconda della specie. Le varietà più diffuse sono il Gigante d’inverno, dalle foglie ampie e carnose, il Merlo nero, dalle foglie scure ed arricciate ed il Riccio di Castelnuovo, caratterizzato da foglie spesse e tondeggianti.
Pur essendo particolarmente gustosi, gli spinaci sono idonei anche per coloro che intendono seguire un regime alimentare controllato, considerate le poche calorie presenti e l’abbondanza di acqua al loro interno.
Dal punto di vista nutrizionale gli spinaci sono ricchi di Sodio e Potassio che partecipano al mantenimento della pressione osmotica e alla regolazione del bilancio idrico del corpo nei liquidi extra ed intracellulari. Vi sono contenuti anche alcuni Minerali: il Calcio e il Fosforo, costituenti essenziali delle ossa e dei denti, il Magnesio, importante regolatore dell’eccitabilità delle membrane cellulari, soprattutto quelle dei muscoli scheletrici e cardiaci, lo Zinco, che fa parte degli enzimi implicati nei processi digestivi ed il Rame, coinvolto nella formazione dei globuli rossi.
Da non trascurare anche la presenza della vitamina A, che protegge la pelle e le mucose che rivestono l’esterno e l’interno del corpo, della vitamina C, importante supporto al sistema immunitario, ed alcune vitamine appartenenti al gruppo B, tra cui la B9, che assunta in quantità adeguata diminuisce il rischio della spina bifida neonatale.
Un cenno speciale merita, infine, il Ferro.
Contrariamente a quanto ritenuto per anni, gli spinaci non ne sono particolarmente ricchi. La fama derivava, infatti, da un semplice errore di battitura che ne attribuiva un quantitativo ben dieci volte superiore a quanto effettivamente contenuto.
Se al corretto valore del Ferro (2,9 mg/100 gr) si aggiunge, poi, che all’interno degli spinaci è presente anche l’acido ossalico, che ne ostacola l’assorbimento, sarà facile dedurre che non basta mangiarne molti per diventare forti come Braccio di Ferro!
Peperoncino: che passione!
La pianta del peperoncino, originaria delle Americhe, ormai coltivata in tutto il mondo, appartiene alla famiglia delle Solanacee. Secondo alcuni ricercatori, il suo nome latino Capsicum (L.) deriva da Capsa (scatola) proprio per la particolare forma del frutto, simile ad un contenitore di semi.
Per altri, invece, deriva dal greco Kapto che significa mordere, con evidente riferimento al sapore piccante che, letteralmente, “morde” la lingua al suo contatto.
Il peperoncino piccante è usato come alimento fin da tempi antichissimi. Reperti archeologici testimoniano la sua coltivazione in Messico già nel 5500 a.C. Solo nel 1494, con la scoperta dell’America ad opera di Cristoforo Colombo, venne introdotto in Europa. I guadagni che la Spagna, paese colonizzatore, si aspettava dal commercio di tale frutto apparirono, tuttavia, ben presto deludenti.
Il peperoncino, infatti, acclimatandosi con facilità nel vecchio continente, si diffuse rapidamente in tutte le regioni meridionali e, contemporaneamente, in Africa ed in Asia.
Entrò così a far parte dell’alimentazione di quella parte della popolazione che non poteva permettersi l’acquisto di costose spezie orientali. Grazie al peperoncino, pertanto, la cucina povera trovò la sua grande occasione non solo per insaporire i cibi sulle tavole, ma anche per garantirne la conservazione.
Il peperoncino con le sue proprietà antibatteriche favorisce, infatti, il mantenimento e l’integrità degli alimenti. Ciò spiega anche perché nelle regioni dal clima caldo, ove il deterioramento dei cibi è più facile, l’uso di questa spezie è maggiore. I popoli ricchi, al contrario, per la forte sensazione che lascia sul palato, non l’hanno mai considerato un alimento da aggiungere alle proprie tavole. Ma non venne solo bandito dalla gastronomia delle nobili cucine. I Puritani ed altre confessioni religiose lo vietarono poiché considerato eccitante e capace di risvegliare i sensi, attribuendogli addirittura poteri diabolici. Non a caso, ancora oggi, in molti dialetti del sud Italia, il peperoncino piccante viene chiamato “diavolicchio”.
Il caratteristico sapore piccante, tuttavia, trova una spiegazione tutt’altro che mistica. E’ infatti determinato dalla presenza di un particolare alcaloide, la Capsaicina, che presente in minore o maggiore quantità, ne determina i diversi gradi di piccantezza. Secondo la Scala di Scoville, uno dei peperoncini più piccanti al mondo è l’“Habanero” coltivato nella penisola messicana dello Yucatan. In Italia le regioni in cui il peperoncino è un elemento fondamentale in cucina sono l’Abruzzo, il Molise, la Puglia, la Calabria e la Sicilia.
La sua popolarità è anche dovuta alle sorprendenti proprietà terapeutiche attribuitegli. Il peperoncino è ricco di vitamina A, importante per la salute della cornea e dei tessuti epiteliali, di vitamina C, utile al nostro organismo per difenderci dalle infezioni, da tutte le malattie da raffreddamento e dai disturbi cardiovascolari, di vitamina PP, che protegge l’elasticità dei capillari ed, infine, di Vitamina E, che accresce la capacità di ossigenazione del sangue. Quest’ultima, in particolare, viene anche considerata la vitamina della fertilità e della potenza sessuale.
Tra i sali minerali e gli elettroliti, quelli presenti in maggiori quantità sono il Potassio, che regola il bilancio idrico del corpo, il Calcio, principale componente strutturale delle ossa, il Fosforo, parte essenziale degli acidi nucleici, e il Ferro, indispensabile per la formazione dell’emoglobina, la proteina che trasporta l’ossigeno nel sangue.
A deporre a favore delle presunte proprietà afrodisiache del peperoncino si aggiungono, inoltre, la forma, il colore rosso vivo del sangue, il sapore forte ed aggressivo e, come detto, la presenza di capsaicina, dalle proprietà vasodilatatorie.
Nonostante non vi siano riscontri scientifici in merito, ciascuno di noi, aggiungendo nella romantica notte degli innamorati un pizzico di peperoncino alle proprie pietanze, potrà comunque continuare a confidare nei desiderati effetti delle sue proprietà.