Melograno: tra storia e virtù
Il melograno, originario dell’Asia centro-occidentale, è una pianta di antica tradizione dai risvolti leggendari che ha sempre affascinato l’uomo.
Da sempre considerato simbolo della fertilità, è infatti presente in racconti, riti e sogni di diverse culture, spesso legati alla sensualità.
Le giovani spose della Roma imperiale ne intrecciavano i rami fra i capelli come auspicio di fecondità. Ancora oggi in Turchia il giorno delle nozze è usanza rompere una melagrana al fine di predire, in base al numero di semi fuoriusciti, i figli della coppia.
Accanto a queste usanze dall’esito sibillino ed incerto, il melograno è stato comunque utilizzato, fin dal passato, anche per le sue proprietà terapeutiche. Lo stesso Ippocrate, padre della medicina, ne esaltava le virtù, definendone il frutto un vero e proprio rimedio medicamentoso. Nell’antica Grecia, infatti, era già prescritto come antinfiammatorio e contro le infezioni parassitarie. In seguito le proprietà benefiche del melograno sono state poi confermate anche dalla ricerca scientifica che ne ha individuato altre importanti potenzialità.
Negli ultimi anni si è studiato, in particolare, l’effetto dell’acido ellagico, una sostanza vegetale che apporta un valido aiuto per contrastare lo stress ossidativo dell’organismo e per prevenire alcune importanti patologie, quali l’ipercolesterolemia e l’aterosclerosi. Nella melagrana sono, inoltre, presenti flavonoidi dalle proprietà antinfiammatorie, antiallergiche e vasoprottetrici, oltre ad elementi quali Calcio, Ferro, Magnesio, Fosforo e Potassio e le Vitamine A, B e C.
I suoi frutti, di aspetto tondeggiante e colore rosso screziato di giallo, sono internamente suddivisi in piccole logge rivestite da una membrana econtenenti numerosi semi carnosi dal sapore acido ma, al contempo, zuccherino.
In base all’acidità, il melograno può essere classificato in aspro, agro-dolce o dolce. In Italia se ne conoscono diverse varietà: Dente di Cavallo, Neirana, Profeta Partanna, Selinunte, Ragana e Racalmuto, tutte agrodolci o dolci. I frutti vengono consumati freschi e spesso sono usati per preparare bevande dalle proprietà dissetanti.
Le melagrane si raccolgono, già mature, da settembre a novembre e possono essere conservate a temperatura ambiente sino ad una settimana. Quando si acquistano devono risultare pesanti rispetto alle loro dimensioni e presentare buccia tesa e dura.
Per aprire correttamente il frutto senza rompere i semi in esso contenuti si devono rispettare le sue naturali conformità. Per farlo è sufficiente incidere la buccia con un coltello appuntito, aprire il frutto con movimento deciso e sgranare delicatamente i semi all’interno.
Nel 2000, infine, per le sue proprietà, il melograno è stato scelto come simbolo della scienza medica nel corso del Festival del Millennio della Medicina tenutosi in Inghilterra.
Per beneficiare appieno delle sue proprietà approfittiamo di questo dono che Madre Natura ci offre servendolo come merenda in macedonia oppure, opportunamente spremuto e filtrato, come gustoso aperitivo analcolico.
Il finocchio (Foeniculum vulgare Mill.)
Come ogni anno durante le feste natalizie ci si lascia andare ai piaceri della tavola, rimandando ogni senso di colpa all’anno nuovo.
Ed ecco che dopo la notte di San Silvestro, carichi di buoni propositi, possiamo cominciare a dedicarci alla cura del nostro corpo. Un ottimo punto di partenza è sicuramente rappresentato da una sana e corretta alimentazione quotidiana.
A tale proposito vi è un ortaggio, appartenente alla famiglia delle Umbelliferae, dalle benefiche proprietà e facilmente reperibile tutto l’anno: il finocchio.
Ampiamente coltivato negli orti di tutta Italia per la produzione del grumolo, una struttura compatta costituita dall’insieme delle bianche e carnose guaine fogliari, viene raccolto in tutte le stagioni dell’anno a seconda della zona di produzione.
E’ una tipica pianta mediterranea dalla storia molto antica. Originaria della pianura di Maratona in Grecia, dove cresceva spontanea e veniva chiamata marathon, grazie ai Romani si diffuse nel resto dell’Europa. Se ne conoscono diverse varietà: il Bianco Perfezione, il Bianco dolce di Firenze, il Finocchio di Parma e quello di fracchia, il gigante di Napoli ed il Grosso di Sicilia.
Ad oggi le maggiori produzioni sono in India, Egitto, Pakistan, Cina, Indonesia ed Argentina. Il successo di questo ortaggio è dovuto alle sue molteplici proprietà e all’utilizzo di tutte le sue parti: i fiori, le foglie, il bulbo ed i frutti (impropriamente chiamati semi) dai quali si estrae, per distillazione in corrente di vapore, l’olio essenziale.
Quest’ultimo contiene prevalentemente anetolo, una sostanza che dona al finocchio spiccate proprietà digestive e carminative e che lo rende indicato nei disturbi dispeptici quali lievi affezioni gastrointestinali, gonfiore e flautulenza.
Durante l’allattamento l’infuso di finocchio è efficace per stimolare la montata lattea, per ridurre le coliche gassose dei neonati e per donare al latte materno un sapore dolce e gradevole. Il finocchio esercita, inoltre, un’azione secretolitica ed espettorante rappresentando, quindi, un valido aiuto durante le infiammazioni delle prime vie respiratorie. A livello locale si possono applicare impacchi di olio essenziale per alleviare lievi dolori muscolari e reumatici, mentre l’infuso dei frutti è utile per lenire gli occhi arrossati in caso di congiuntivite.
A questo fine il finocchio veniva utilizzato anche in passato, tanto che lo scrittore latino Plinio ne aveva ampiamente descritto le virtù. In un racconto, in particolare, si narra che, dopo la muta stagionale, i serpenti erano soliti sfregare il proprio corpo contro piante di finocchio per eliminare dagli occhi gli eventuali residui di pelle che gli avrebbero offuscato la vista.
Sicuramente più attuale ma anche meno poetico è invece l’utilizzo del finocchio da parte dei cantinieri dei giorni nostri. La curiosa espressione “lasciarsi infinocchiare”, infatti, sembra derivare proprio dall’abitudine dei venditori di vino di offrire spicchi di finocchio ai potenziali acquirenti per la presenza di sostanze aromatiche che rendono gustoso anche un vino di qualità scadente.
Il cavolfiore: proprietà benefiche
In autunno e in inverno gli orti delle nostre regioni si arricchiscono di un ortaggio dall’aspetto tondeggiante e dal sapore marcato, il cavolfiore (Brassica oleracea var. botrytis). Introdotto in Italia ad opera dei veneziani, che lo acquistarono dai greci sull’isola di Cipro, il cavolfiore è per lo più coltivato in Toscana, nelle Marche, nel Lazio, in Campania ed in Sicilia.
Se ne conoscono diverse varietà: la qualità Palla di Neve di colore bianco candido, il Precoce Toscano, quello di Jesi, il Tardivo di Fano ed il Gigante di Napoli di colore bianco crema, il verde cavolfiore di Macerata, ed il Violetto di Sicilia.
Il fiore presenta, comunque, una testa compatta, formata da tante “cimette” attaccate l’una all’altra ed innestate su un piccolo stelo centrale. Per pulirlo è sufficiente staccare le foglie esterne, tagliare le cimette dal torsolo e sciacquarle sotto l’acqua corrente.
Il cavolfiore, in genere, viene servito cotto. Durante la cottura, per la presenza al suo interno di composti a base di zolfo, sprigiona un odore piuttosto forte. Per contenerlo sarà sufficiente aggiungere all’acqua in ebollizione una goccia di aceto o di limone. Se particolarmente tenero e fresco si può, tuttavia, consumare anche crudo.
In questo modo non solo risulta più digeribile e salutare, ma, soprattutto, conserva inalterate le sue proprietà nutritizie. Grazie, infatti, al perfetto equilibrio dei suoi componenti, il cavolo esercita un’azione benefica su tutto l’organismo. E’ ricco di minerali come il Fosforo e il Calcio che contribuiscono alla salute di ossa e denti, di Magnesio per il buon funzionamento delle cellule e di Ferro per combattere l’anemia.
Da non trascurare anche la presenza di Potassio, che regola il ricambio idrico del corpo e impedisce la disidratazione cellulare, di fibre vegetali e di alcune vitamine tra cui la C, che protegge le cellule e previene i danni provocati dai radicali liberi e la B9, indispensabile per il sistema nervoso ed il midollo osseo.
Per queste proprietà il cavolo è, fin dall’antichità, conosciuto ed utilizzato come rimedio per curare diverse malattie. I Romani, in particolare, prima dei lauti banchetti, erano soliti mangiare cavoli crudi per aiutare l’organismo ad assorbire e metabolizzare con maggior facilità il vino che, probabilmente, avrebbero bevuto in abbondanza. Per le popolazioni marittime, inoltre, i cavoli hanno da sempre rappresentato uno degli alimenti principali, costituendo un’ottima fonte di sostentamento durante i lunghi viaggi in mare.
Forse per la sua forma compatta che evoca protezione o per il candido colore simile alla bambagia il cavolfiore ha, per anni, tolto dall’imbarazzo i genitori alla domanda dei figli su come nascono i bambini. E non solo. Il cavolo è forse uno degli ortaggi a vantare il maggior numero di modi di dire. Sono ormai di uso comune frasi del tipo “non me ne importa un cavolo”, “testa di cavolo”, “non capisci un cavolo”, “pensa ai cavoli tuoi”, “c’entra come i cavoli a merenda”, “col cavolo” oppure, semplicemente, “cavolo!”.
Uva: elisir di lunga vita
L’uva è il frutto della vite (Vitis vinifera), una pianta antichissima le cui prime testimonianze sono contenute addirittura nella Sacra Bibbia.
Nel libro della Genesi si narra, infatti, che fu Noè, terminato il diluvio universale, a piantare il primo seme dell’albero della vite. Successivamente affreschi e geroglifici egiziani testimoniarono la coltivazione di questa pianta per produrre vino destinato ai faraoni.
Fu, tuttavia, solo con l’emergere della civiltà greca che la viticoltura prima, e la vinificazione poi, si affermarono lungo le coste del Mediterraneo.
In Italia, in particolare, la produzione del vino si diffuse così tanto da riservare alla nostra penisola il soprannome di Enotria (terra del vino).
Oltre che per la produzione di quello che anticamente veniva definito “il nettare degli dei”, l’uva viene utilizzata anche come frutta fresca (uva da tavola) e secca (uva passa). Ed è proprio per la produzione di uva da tavola che l’Italia vanta il primato di maggiore produttore mondiale di questo frutto. Tra le varietà più diffuse vi sono l’Italia, la Vittoria e la Regina per le uve bianche e la Red Globe, la Rosada e l’Uva Fragola per le rosse.
Nell’immaginario comune l’uva è rappresentata a grappoli. Il grappolo è una infruttescenza costituita da una parte legnosa più o meno ramificata, il raspo, e dagli acini, chiamati anche chicchi o più propriamente bacche, di forma tondeggiante od ovale. Questi ultimi sono costituiti dalla buccia, dalla polpa e dai semi, detti anche vinaccioli.
Le stagioni migliori per assaporare l’uva sono la fine dell’estate e l’autunno quando i grappoli sono maturi ed ha inizio la vendemmia, ossia la loro raccolta. Il colore dei chicchi indica lo stato di maturazione: gli acini di uva bianca devono tendere al giallo e quelli di uva nera al rosso scuro. Il tipico strato di polverina che avvolge ogni acino è, invece, un importante segnale della freschezza del frutto che, con il passare del tempo, tende a scomparire.
L’uva e le sue proprietà nutrizionali sono conosciute fin dall’antichità. E’ un frutto particolarmente dissetante, poiché ricco di acqua (circa l’80%), e nutriente, per la presenza di elevate percentuali di zuccheri solubili (più o meno il 18%).
Sono anche presenti tannini e polifenoli dalla potente azione antiossidante e anti-invecchiamento e diverse vitamine del gruppo B, oltre che Fosforo, Calcio, Magnesio e Ferro. L’elevato contenuto di Potassio e la scarsa presenza di Sodio la rendono, inoltre, un valido aiuto per combattere la ritenzione idrica e per stimolare la diuresi. Con specifico riferimento alle sue parti, se la buccia è ricca di oli essenziali e cellulosa, utile per favorire il transito intestinale, i semi abbondano di acido linoleico, dalle proprietà ipocolesterolemizzanti.
Un cenno particolare merita l’uva nera. In questa qualità si trova, infatti, il resveratrolo, un composto portatosi all’attenzione del mondo scientifico solo all’inizio degli anni ’90 a seguito di un importante studio noto come “Paradosso Francese” che dimostrò come la bassa incidenza di malattie cardiache nella popolazione d’oltralpe, la cui dieta è caratterizzata da un consumo elevato di grassi, è legata alla regolare assunzione di vini rossi che contengono proprio questa molecola dall’attività cardioprotettiva.
Grazie alle citate proprietà l’uva è giustamente considerata un vero e proprio elisir di lunga vita da non far mai mancare sulle nostre tavole nel periodo autunnale.
Non ci resta che brindare, quindi, con un buon bicchiere di vino rosso a questo succoso e gustosissimo frutto.
Una pioggia di Castagne
Ecco che è arrivato l’autunno, la stagione forse più melanconica dell’anno, quando la natura comincia a spogliarsi delle sue fronde e dei suoi frutti.
In questi mesi, camminando per i boschi sopra un letto di foglie secche, è possibile andare alla ricerca del più tipico dei prodotti autunnali: la castagna.
Facilmente individuabili, se ancora contenute all’interno del riccio, le castagne hanno un aspetto rotondeggiate con un lato appiattito detto pancia ed uno convesso detto dorso.
Il polo apicale termina in un piccolo prolungamento frangiato, la torcia, mentre quello prossimale, l’ilo, si presenta leggermente appiattito e di colore grigiastro. Esternamente sono glabre, lisce e di colore marrone. Queste caratteristiche le rendono facilmente distinguibili dai marroni, dall’aspetto più piatto e caratterizzato da striature più o meno marcate.
Per centinaia di anni, le castagne, anche chiamate “pane d’albero”, erano considerate un preziosissimo dono della natura poiché rappresentavano la principale fonte di sostentamento di intere popolazioni, soprattutto durante gli inverni rigidi, le guerre e le carestie. Ancora oggi rappresentano un alimento chiave per numerose famiglie residenti sulla catena appenninica.
L’habitat di questa pianta è, infatti, l’ambiente boschivo collinare o quello montano a bassa quota. In genere nelle zone alpine cresce tra i 200 e gli 800 metri s.l.m., mentre in quelle appenniniche meridionali anche fino ai 1000-1300 metri di altitudine. In Italia è maggiormente diffusa in tutto il versante tirrenico, dalla Calabria alla Liguria. La sua presenza è, invece, sensibilmente inferiore sulle coste adriatiche e nel Triveneto.
Il castagno vanta origini antichissime: si pensa, infatti, che risalga addirittura ai lontani tempi preistorici, quando ebbe inizio la distribuzione delle piante latifoglie sulla Terra. In Europa si diffuse ad opera dei Greci. Durante il Medio Evo, inoltre, diversi ordini monastici ne ampliarono la coltura per poterne utilizzare la legna ed i frutti.
Questi ultimi possiedono importanti proprietà nutritive. Le castagne, infatti, sono ricche di carboidrati complessi che le rendono estremamente nutrienti e offrono l’indubbio vantaggio di essere assorbiti lentamente dall’organismo provocando, quindi, un lento innalzamento della glicemia.
Le castagne contengono, inoltre, sali minerali, come il Fosforo, utile per ossa e denti, e il Magnesio, fondamentale per la buona salute delle cellule. Un altro elemento presente in notevole quantità è il Potassio, indispensabile per un buon ricambio idrico del corpo. Non mancano, inoltre, diverse Vitamine del gruppo B, efficaci contro l’astenia, e la Vitamina C, che protegge le cellule del nostro corpo prevenendo i danni provocati dai radicali liberi.
Il castagno è anche una pianta estremamente longeva.
La Sicilia ne possiede un maestoso esemplare risalente addirittura al 1500 circa a.C., denominato “l’albero dei cento cavalli” (leggenda narra che durante un temporale la regina Giovanna d’Aragona ed i suoi cento cavalieri si ripararono sotto le sue ampie ed estese fronde).
Sarà, quindi, per le sue capacità di offrire un sicuro riparo dalla pioggia o forse per i suoi gradevoli frutti che Madre Natura ha permesso a questo albero di resistere al passare del tempo.
Le meraviglie dell’Anguria
A procurarci il cibo più adatto ad ogni stagione ci pensa madre natura.
Nei mesi estivi, infatti, quando il caldo si fa intenso ed il consumo di liquidi da parte del nostro organismo aumenta, la dieta si arricchisce di tanta frutta salutare e ricca di acqua.
E cosa c’è di meglio di un’invitante fetta di anguria?
Con quei suoi colori accesi, il gusto rinfrescante ed il sapore dolcissimo è senza dubbio il simbolo incontrastato dell’estate.
Il frutto è un peponide con forma che varia dallo sferico all’ovoidale, buccia verde dalle diverse tonalità, uniformi o striate, e polpa croccante più o meno rossa. Le dimensioni sono variabili secondo le varietà botaniche della pianta.
Le varietà di anguria più diffuse in Italia sono la Crimson Sweet, la Sugar Baby e la Blue Bell e tra le nostrane vi sono il cocomero di Pistoia, quello di Faenza e, per finire, la Quarantina e la Cinquantina, così chiamate per il numero di giorni necessari alla loro maturazione.
Accanto alle angurie “classiche” il cui peso può arrivare fino a 20 kg, ultimamente sul mercato sono apparse anche le “mini angurie” dal peso di 2-3 kg al massimo, ma che presentano le stesse proprietà organolettiche delle loro sorelle maggiori.
Il cocomero è reperibile da maggio a settembre e per maturare necessita di un clima caldo-temperato. E’ infatti originario dell’Africa tropicale dove, in alcune regioni, cresce ancora allo stato selvatico. Chiamato localmente Tsamma (Citrullus lanatus var. citroides), è particolarmente prolifico tanto che per singolo fusto può produrre anche un centinaio di frutti. E’ per questo motivo che nelle regioni desertiche e siccitose è conosciuto e apprezzato da millenni.
Grazie ad alcuni geroglifici è stato possibile far risalire le prime coltivazioni all’antico Egitto circa 5000 anni fa.
Il frutto costituiva per le popolazioni locali una preziosa risorsa idrico alimentare e veniva spesso deposto nelle tombe dei faraoni come mezzo di sostentamento per l’aldilà.
Anche in un passo della Sacra Bibbia, nel libro dei Numeri, ne vengono riportate le virtù. Si narra, infatti, che gli Ebrei, durante la faticosa traversata del deserto del Sahara, rimpiansero i trascorsi tempi della schiavitù in Egitto, quando potevano cibarsi di cocomeri e meloni.
Il cocomero è infatti in assoluto il vegetale più ricco di acqua, oltre il 95% del suo peso è rappresentato da questa preziosa molecola che gli conferisce notevoli proprietà dissetanti e diuretiche. A fronte anche di un irrilevante apporto calorico, esso è sicuramente indicato nei casi di ritenzione di liquidi, gonfiori alle gambe, cellulite e ipertensione. Sono inoltre presenti vitamina A, C, potassio e carotenoidi, sostanze, quest’ultime, fondamentali per ridurre i radicali liberi presenti nel nostro organismo.
Ottima al naturale, l’anguria è ideale anche per preparare gelati, dolci, bevande e marmellate. Nella cosmesi, infine, la polpa è utilizzata per preparare maschere idratanti ed il succo per realizzare lozioni emollienti.
Che dire, con tutte queste virtù non ci resta che sederci, rilassarci ed abbandonarci al piacere di questo vivace simbolo dell’estate.